martedì 29 novembre 2011

Antonello Venditti - "Unica"

I miei genitori lo ascoltavano prima che diventasse mainstream

2011

Il triangolo, chissà perché, ha spesso avuto una certa presa sull'immaginario hipster delle band degli ultimi anni (e non solo). La ragione è probabilmente riconducibile a "Servi della gleba a testa alta/ verso il triangolino che ci esalta".
Per questo quando ho visto questa copertina e capito che Antonello Venditti era, plausibilmente, diventato un hipsterone con i capelli rasati di lato, i baffi, le Clarks e qualche mongolata colorata al posto dei suoi storici Ray-Ban ho pensato che, dopo melensaggini come "Che fantastica storia è la vita" o "Dalla pelle al cuore" era giunto il momento di tornare a dare una possibilità al vecchio Antonellone nazionale.
Anacronistico e contemporaneo a un tempo, "Unica" resuscita stilemi ammuffiti degli anni '80 (batteria - suonata al solito dall'amico Carlo Verdone - con effetto eco, riffoni di chitarra un po' ligabovini un po' funk, ritornelli con cori da stadio e assoli di sax come se Clarence Clemons fosse ancora vivo, suonati dall'argentino Gato Barbieri) ma gli da una parvenza di sostenibilità, mixando tutto a un livello 2011esimamente umano. In verità, non mancano bei passaggi atmosferici al synth, o belle melodie al piano (come quella che dell'incipit che ricorda "Struggle For Pleasure" di Wim Mertens) e alla chitarra (come quella, Coldplayana, che scansiona i versi di "Forever", poi rovinati da un ritornello pomposo e kitsch) e il cantato, seppur meno potente, ha quasi abbandonato i famosi "ragli" di una volta per soluzioni più morbide.
Questo disco mi ha fatto ricordare come l'immediatezza di certo pop sappia rendere con 10 note quei sentimenti che altri generi più di nicchia rendono con 100. E a volte è bello accoccolarsi nella rassicurante banalità: se non altro questo disco è molto meglio di "In questo mondo di ladri" che ascoltai fino alla nausea durante i viaggi in macchina con i miei genitori.
Qualche riflessione sui brani va prima di tutto a "Cecilia", ennesimo brano con un nome di donna nel titolo che si va ad aggiungere alla lista cronologica dopo "Marta", "Lilly", "Sara", "Giulia", "Eleonora", "Esterina" e "Lula". E soprattutto non si può non citare "La ragazza del lunedì (Silvio)", brano sconvolgente per diverse ragioni. Prima di tutto perché immagino che all'inizio si chiamasse semplicemente "La ragazza del lunedì" a cui è stato poi aggiunto estemporaneamente il secondo titolo di "Silvio" come trovata commerciale per "celebrare" la dipartita di Berlusconi dal governo. Il fatto è che così il brano, mischiando maschile e femminile sotto un sottofondo quasi eurodance con l'inquietante voce di Venditti vocoderizzata, suona davvero ambiguo, strano e irresistibilmente gay. Come se non bastasse, tutto l'arrangiamento di cori plagia in modo pauroso "Viva La Vida".
Un ultimo appunto va al testo di "E allora canta!" che vuole infondere speranza a chi è rimasto fregato dalla crisi invitando a scordare le crudeltà di questo mondo mettendosi a cantare una bella canzunciella. E vabè, Antonè, facile per te che magari in tempi di vacche magre potrai anche chiedere la Bacchelli, eh.

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