sabato 24 settembre 2011

Miranda Lambert - "Revolution"

Plettri e proiettili

2009

Miranda Lambert (classe 1983), a dispetto del suo aspetto luccicante da bella figliola è una vera cow-girl. Texana, figlia di un investigatore privato, imbraccò il fucile prima della chitarra e da piccina si dilettava sadicamente nella caccia al cervo: avid deer hunter testuali paroli sulla sua pagina di Wikipedia. La svolta nella vita della giovane Miranda avvenne quando, a 9 anni, i suoi genitori la portarono a vedere un concerto del famosissimo (ehm) cantante Garth Brooks il quale la fece innamorare della musica country. Così, il padre cominciò a scrivere canzoni da farle cantare presso concorsi simili a quelli dove andava Britney Spears ma a misura di bovaro e nei ristoranti (probabilmente bisteccherie da cow-boy dove servono bistecche alla fiorentina alte quattro dita ripiene di bacon, cipolle e salsa tabasco). Graziosa com'è non poteva sfuggire ai tarchiati produttori di musica country, perciò a soli 18 anni la nostra Miranda si trovò già con suo primo disco in vendita nei wal-mart sulla statale. 
Questo "Revolution" è il suo quarto disco e di rivoluzionario non ha un bel nulla. Semmai si tratta di godibilissimo country-pop minuziosamente prodotto che va giù nel condotto auricolare come una Miller appena stappata scivola nel gargarozzo. La voce della Lambert è molto tosta e arrapante e i testi sono incazzosi, spesso involontariamente divertenti per il loro spirito campagnolo naïf specie quando ribadiscono il suo amore per le armi (con titoli come "Time To Get A Gun"), per la birra e le sigarette. In particolare ho trovato abbastanza divertente quando in "Heart Like Mine" dice:
"Daddy cried when he saw my tattoo
But said he loved me anyway"
Il tatuaggio in questione si può vedere in copertina (indovinate cosa rappresenta).
Alla fine "Revolution" è un disco sincero, suonato con passione. Una roba che nell'80% delle pretenziose uscite indie trovate in dosi omeopatiche. Da ascoltare almeno una volta al mese a stomaco pieno, di birra e noccioline.


venerdì 23 settembre 2011

Awning - "E.P. (1)"

Electrogastronomica

2011

Questo duo da New York l'ho scoperto seguendo le mie ghiandole salivari. Il bellissimo brano "Time Keeps" fa da colonna sonora al video che potete vedere qui sotto: la dimostrazione della preparazione dell'hamburger del futuro (clicca qui per maggiori informazioni), una schifezza ripiena di brodo e pancetta che necessita una procedimento lungo e minuzioso per la sua sbavosa preparazione. Inoltre ditemi voi se quella roba in copertina, che credo essere una manopola  per qualche strumento elettronico, non assomiglia a un bel crème-caramel? Yummm. E la musica degli Awning è altrettanto saporita: un impasto folktronico ripieno di fruscii, scatti, ronzii e fraseggi sognanti accompagnato da una voce rinfrescante decorata da deliziose melodie di chitarra. Aggiungete all'impasto una sapida ritmica che rende tutto abbastanza ballabile e avrete un manicaretto profumatissimo e fragrante. Unica nota dolente: questo ep contiene solo 4 canzoni che non bastano a saziare la nostra fame di prelibatezze elettronicamente modificate. Poco male, in attesa di una nuova portata possiamo trastullarci con una grissinosa ottima cover di "The Wilhelm Scream" di James Blake.



mercoledì 14 settembre 2011

America Addio - "Cotton Kingdom"

America Addio? Ciao core!

2010

Si fa presto a dire "waddafuk?!?" ma questi America Addio - nome che, pensate un po', nella nostra lingua si traduce come "America Addio" - non si fermano al primo "ooooh" di stupore. Innanzitutto per la prima volta non so appioppare un'etichetta univoca alla loro musica e Iddio sa quanto adori appioppare etichette univoche anche se chilometriche. Posso provare a dire una cosa tipo "gli America Addio (che in realtà sono una one-man-band) prendono l'alternative rock degli anni '90 o forse degli anni '80 o forse quello degli anni '00 o forse il pop-punk, tolgono le chitarre e ci mettono tonnellate di pompose trombe sintetiche e condiscono con copiose spruzzate di tastiere MIDI, mentre la voce viene effettata all'estremo per farla suonare come quella di un asiatico ritardato, di un mongolo mongoloide". Ma questa descrizione varrebbe solo per le prime 2-3 canzoni. Nelle altre c'è davvero di tutto: synth-pop trasfigurato, prog-rock sbronzo, new-rave inacidito, pianoforti, xilofoni, campanelle, organi da chiesa e pure un'azzeccata cover di "In The Year 2525".
I riferimenti più vicini che mi sovvengono sono i nostrani Drink To Me e gli Everything Everything: due gruppi già abbastanza indescrivibili.
Ma ciò che veramente conta in "Cotton Kingdom" è la ricerca dei timbri elettronici: sono i suoni stralunati e gommosi, accuratamente selezionati, dei synth e delle drum-machine che riescono a trasformare un potenziale grigio disco sperimentale in un disco kitsch-pop di 11 audio-caramelle Fruit Joy a cui resistere non puoi (devi devi devi auscultar).
America Arrivederci A Presto

(con l'acquisto l'intero ricavato andrà in beneficenza)

lunedì 12 settembre 2011

Do Nascimiento - "Do nascimiento"

Simpatiche scimmie urlatrici da Genova

2011

"Cazzo vi urlate?"
Lo chiederei volentieri al grosso dei gruppi lo-fi screamo italiani usciti fuori negli ultimi tempi ma che fanno musica di 10 anni fa.
Cioè, normalmente si urla durante quelle umane esplosioni emotive che possono essere la rabbia e il dolore e lo sconforto e PoRcOdI0MIsOnfRaNtUmAtoiLPOlLiCioNeNELLoStIPiTedELLaPORtAAaaAAA!!!
Solo se sei pazzo ti metti a urlare testi narrativi abbastanza ermetici come
"L'AVeVoCApITOcHEVOLEviSPaRiREcoNquELcIaOpRImAdElLEtARGOoO!"
O se sei i Do Nascimento, una band screamo (poco emo) genovese che si rifà abbastanza ai Distanti, pur essendo sonoramente più sporca, liricamente più verbosa e tecnicamente più dotata.
Al di là della mia sterile polemica c'è da dire che la demenza seriosa, rapida, diretta e senza filtri, di questo ep eccita e fomenta e fa vorticare la voglia di urlare robe assurde pure a me.
INdEFiNItIvAUnBELGrUpPoScREaMOcHEPoTeTeSCArIcAReGrATIsPErGIUNtAaA!!


mercoledì 7 settembre 2011

Yellowcard - "Ocean Avenue"

Sviolinate pop-punk

 2003

Questo fu il primo disco che comprai a scatola chiusa. Avevo 14 o 15 anni quando vidi questa bella copertina nel reparto "punk" della Feltrinelli di largo Argentina e così senza farmi troppe domande - dopo averne ascoltato 30 secondi in negozio - lo comprai sacrificando un'intera paghetta. All'epoca possedevo qualcosa come 4-5 cd, ma nessuno mi aveva ancora sbullonato le sinapsi. Questo ci riuscì. Probabilmente è colpa degli Yellowcard se sono affetto da depressione cronica e da un pacato disturbo bipolare.
Trattasi di pop-punk "serio" (niente cazzate sullo scopare la vicina di casa, à la blink-182) con l'aggiunta di violini, fatto inusuale per il genere, che iniettano una bella overdose di melodia dal sapore irlandese. Il risultato è meno stucchevole e banale di quanto si possa pensare. Si va dall'hard-rock di "Way Away" e "Breathing", alla ballata strappacore di "Empty Apartment", alla tenera sprintosità di "Life of a Salesman" (dedicata al babbo del cantante), passando per gli svolazzi country da quadriglia di "Miles Apart", per finire con dolci sciocchezzuole da pomiciata sul sedile posteriore di una cabrio in corsa sull'autostrada come "Twentythree". Ah, certo c'è pure la canzone di congedo malinconica con la batteria potente e il ritornello zuccherosissimo che contiene la parola "California" (immancabile in un disco del genere). Insomma, c'è proprio tutto. Tutto quello di cui un adolescente confuso può avere bisogno: voci stratificate, chitarre potenti, speranze a buon mercato, sogni di trescate sotto le stelle o di vendetta contro i bulli prepotenti e tanta voglia di evadere dalla città che - per il solo fatto che ci sei nato e cresciuto - appare sempre più stretta e soffocante. Uno di quei dischi che aiutano a crescere perché anche se non insegnano nulla esplicitamente ti fanno capire che un ipotetico ragazzo che abita a 10mila miglia da te, che va a scuola con lo scuola bus, che infila i suoi libri in un armadietto e il suo pene in una torta alle mele vive esattamente i tuoi stessi problemi, si trova sulla stessa barca. Ed è proprio questo il motivo per cui, nonostante nella mia vita di ascoltatore abbia avuto diverse fasi e fisse (Beatles, Pink Floyd, Queen, Oasis, Radiohead, Afterhours), solo "Ocean Avenue" ritorna ciclicamente nel mio lettore cd: per ricordarmi che non si smette mai di crescere.
....oddio, ma l'ho scritto veramente?...ma che significa? ...dannati Yellowcard... mi avete fatto diventare una stupida bimbetta ipersensibile e melensa...


sabato 3 settembre 2011

AA.VV. - "Tropicália: ou Panis et Circencis"


1968

"Eu organizo o movimento
Eu oriento o carnaval
Eu inauguro o monumento
No planalto central do país"
[Caetano Veloso - Tropicália]

In quasi tutti i negozi di dischi, da Feltrinelli ai banchetti dei mercatini, c’è sempre una nicchietta composta da una ventina di cd (o 33 giri) segnati su un cartone marroncacca come "BRASILIANA"; se mai vi capiterà di buttarci un occhio c’è la possibilità che tra i vari "Super lambada per negroni", "Brigitte Bardò Bardò", "Sambe & Banane" troviate anche "Tropicália: ou Panis et Circencis", un disco collettivo di artisti brasiliani di musica nota ai pochi come “tropicalista”. E che cazz’è? Ora vi dico, spè.
L’anno è il 1968 e il Brasile era oppresso da una dittatura militare di cui so poco e niente e, come la Rivoluzione Francese ci ha insegnato, la testa venne sollevata principalmente dal ceto intellettuale, nel nostro caso coloro che vengono ritenuti i fondatori del tropicalismo sono i due cantanti Caetano Veloso (il nome del movimento nasce da una sua canzone che se alzaste per un attimo gli occhietti del vostro pene vedreste all’inizio di questo post) e Gilberto Gil. Nei pochi anni di vita il movimento venne poi espresso da tanti altri musicisti e artisti di vario genere (cinema, letteratura, filosofia…).
Mettendo da parte le varie critiche sull’utilità storica che poi ebbe la tropicália, se Caetano e Gilberto sono i fondatori di questo movimento, "Tropicália: ou Panis et Circencis" è sicuramente il suo manifesto, che non si esprime solo attraverso il suono, ma anche grazie alla storica e potentissima copertina che raffigura tutti i realizzatori dell’opera in posa. Nonostante la ricercatezza della foto, fu in realtà scattata in fretta e in furia, tanto che due artisti che non erano lì in quel momento furono sostituiti da delle foto incorniciate:
-il prima fila, vestito di verde, Gilberto Gil tiene in mano una foto di Capinam, poeta & compositore.
-in seconda fila da sinistra: Rogério Duprat, compositore, tiene in mano il vaso da notte di una sua zia (giuro) a mò di tazza per il caffè, al suo lato Gal Costa, cantante, e Torquato Neto, paroliere.
-in terza fila da sinistra: Os Mutantes, i più giovani del gruppo (20, 21 e 17 anni), ovvero Arnaldo Dias Baptista, Rita Lee e Sérgio Dias Baptista; in mezzo a loro ecco quel gran fico di Caetano Veloso che tiene in mano una foto di Nara Leão, cantante già affermata da anni nella bossa nova; infine a destra Tom Zé, cantante (ma in questo caso solo compositore), tiene in mano una valigia.
Per retro della copertina Veloso e Gil si impegnarono di scrivere una specie di finta sceneggiatura con le intenzioni del movimento e cose varie in portoghese che non capisco.
Si però, che cazzo è la tropicália? Le opinioni sono varie così come i modi in cui si espresse nei pochi anni della sua vita. In generale si può dire che veniva accolto, mescolato, remiscelato tutto ciò che il panorama musicale offriva: il rock americano (il rock di quel paese che appoggiò la dittatura, e questa cosa fa ancora incazzare molti), la bossa nova, la samba, il folk, la musica elettronica, la musica africana e così via, tutto ficcato in un grande calderone insieme a poesia, filosofia, riferimenti alla cultura global (Batman, Frank Sinatra) e spirito sessantottino a bomba. Attenzione però, la tropicália non è solo un potpourri di altre espressioni artistiche, ma bensì qualcosa di totalmente unico nel suo genere e probabilmente la più alta e importante espressione della MPB, Música Popular Brasileira.
Finì che Veloso e Gil furono prima incarcerati e poi costretti all’esilio in Inghilterra, cosa che ovviamente non fece altro che aumentare la popolarità della loro musica all’estero (se devi levare dalle palle qualcuno e lo spedisci nell’Inghilterra negli anni '70, mi dispiace figlio mio, ma sei proprio un coglione). La tropicália però, senza i suoi due più importanti esponenti in Brasile e per la durissima repressione politica, non ebbe più modo di esprimersi. Addio, tropicália: l’unica cosa negativa che posso pensare su di te è che piacevi una sfracchia pure a Kurt Cobain, per il resto sei stata perfetta così com’eri. Bat Macumba ye-ye.

"Porque é made, made, made, made in Brazil."


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