giovedì 29 marzo 2012

Sleigh Bells - "Reign of Terror"

LallàlallàllàlallàlàlàhlalAAAAARGGGHHH

2012

Mi piacciono gli Sleigh Bells.
Che è come dire "il mio piatto preferito è la pasta con la nutella" o "mi piace l'odore di carne viva delle unghie dei piedi appena tagliate" (è una citazione dell'Ulisse, giuro) o "adoro sniffare la benzina quando faccio rifornimento" e altre cose da disgustorama simili. Gli Sleigh Bells, duo maschio-femmina da Brooklyn, sono un guilty pleasure, insomma. Almeno per ora, perché questa è la musica "più 2012" che ci sia al momento. Qualcosa che vostra mamma non potrebbe soffrire perché la troverebbe incomprensibile. Mi spiego: se, ad esempio, siete uno di quei pipparoli coi capelli unti che ascoltano tutto il giorno il metal, vostra mamma sarà, per quanto rammaricata, perfettamente in grado di capire che quella musica piena di violenza machista vi permette di sognare fuori dagli schemi di un'esistenza banale e alienante; pur non apprezzando quei rumoracci inverecondi, ovviamente. 
Ma come spiegarle questa roba, invece? Come descriverle il perché di questo intruglio, di questo kitschume noise-pop osceno? Come farle apprezzare dei motivetti potenzialmente orecchiabili anche per lei mentre vengono devastati da chitarre fischianti/shoegazzanti registrate a volumi improponibili, effetti elettronici e smitragliate digitali a doppio pedale (facciamo quadruplo) della drum-machine alternate a beat hip-hop. Come far interpretare il significato (per noi ggiovani decisamente trasparente) di quella copertina - delle scarpe da hipster macchiate di sangue - a qualcuno che non ha mai vissuto il neo-poserismo su scala mondiale dell'era di internet? 
Questo non è bubblegum pop, è una big babol caduta per terra e poi rimessa in bocca: con il sapore di fragola artificiale che si mischia a quello della polvere. È una chupa chup con lo stecco di filo spinato.
A detta della critica seria questo secondo disco di questa band dal simpatico nome natalizio non regge il confronto con l'acclamato debutto, "Treats", perché accentua troppo il versante pop del loro suono (che poi è il fattore che a mio avviso rende questo disco ancora più acidamente kitsch).
Ma, chiaro, ormai gli Sleigh Bells si son spinti troppo oltre e le webzine autorevoli non possono mica scrivere esplicitamente "mi fa eccitare l'odore acre di terra mista a urina della sabbietta dei criceti". Sarebbe troppo.


domenica 25 marzo 2012

Descubriendo a Mr.Mime - "Descubriendo a Mr.Mime"

¡HÁZTE CON TODOS!*

2010

Su SfigatIndie torna l'apprezzata (da me e dai miei parenti) rubrica non-ufficiale "ChECcAZZoTeUrliIiiI?" che in questo numero è particolarmente tradotta come "¿QuÉCaRAJoGrITaAaASsS?". Se già avete ascoltato i francesi Daïtro probabilmente eravate al corrente che lo screamo si può fare anche in altre lingue oltre l'italiano e l'inglese: certo è che sentirlo nella lingua di Miguel Angel Muñoz non è cosa di tutti i giorni.
I Descubriendo a Mr.Mime vengono da Madrid e come i più arguti avranno già capito sono il classico esempio di "Parlare di Pokémon con i ventenni". Ma quanto hanno definito la nostra infanzia quei mostriciattoli? Interessante poi la scelta di Mr.Mime, che come dice il nome della band viene finalmente "descubierto": si vuole andare oltre la patina di antipatia che l'odioso Pokémon mimo (odioso come tutti i mimi) ha generato negli anni. Probabilmente il Pokémon meno favorito di tutti i tempi.
Ma l'offerta dei Descubriendo a Mr.Mime (Pocket Monsters + Screamo) non si esaurisce qui: i DaMM, en efecto, non sono il solito gruppo di scimmie urlatrici. In questo loro primo demo c'è spazio anche per un po' di delicatezza.
"Uooooooo delicacheee? Frena bello che mi stai sbomballando le giunzioni sinaptiche con una news di tale portata. Delicatezzainundiscoscrimooo!?" dirà qualcuno.
Ebbene sì, in mezzo a tanti strepiti c'è spazio per una simpatica citazione della nenia pokémonica di Jigglypuff oltre che qualche nota di armonica e xilofono quì e là e qualche divagazione post-math-rockina carina.
Pertanto se siete in vena di una musica incazzata e allo stesso tempo malinconica perché vi rimembra i bei tempi passati nel cortile della scuola elementare a giocare con dei game-boy incavettati invece di giocare a pallone questo è il disco gratis per voi.

Downloadalo subito e gustali su Facebook

*: "Acchiappali tutti!"


mercoledì 14 marzo 2012

The Fool - "The Fool"


1968

Se mai esistesse fra i lettori di SfigatIndie qualcun altro che come me ogni giorno della sua vita si domanda in quale momento il suo interesse per la musica anni ’60 si sia trasformato in un sentimento che unisce il fangirlaggio, il feticismo e la voglia di possedere una Lambretta, se mai esistesse una persona così insomma sicuramente già saprà chi sono i Fool. Per tutti gli altri invece ve lo spiego io.
I Fool erano quattro fricchettoni (tre olandesi e un canadese) di una comune hippie di Ibiza che nel 1966, approdati a Londra, si unirono a formare un gruppo decoratori di qualsiasi cosa decorabile. Nel giro di pochi anni decorarono vestiti, decorarono chitarre, decorarono copertine, decorarono band, decorarono macchine, decorarono palazzi…decorarono pure i Beatles! Poi andarono a Los Angeles e decorarono anche quello che allora era il murales più grande di sempre per la prima di "Hair", ma si sa…partire è un po’ come morire, vedi Los Angeles e poi muori, Los Angeles non è stata costruita in un giorno…insomma il quartetto si squartettò, ognuno per la sua strada e via. Era il 1969: Nixon diventava presidente, i Beatles non c’erano più, Sharon Tate veniva uccisa e forse anche Brian Jones, "Easy Rider" frantumava tanti sogni e soprattutto nasceva Frankie HI-NRG.
Se i Fool hanno sicuramente contribuito visivamente all’immagine classica del termine "psichedelico" sicuramente sono meno ricordati con affetto per quanto riguarda il loro disastrosissimo tuffo nel business musicale: nel 1968 uscì il loro primo e unico album prodotto da Graham Nash (aveva forse dei buffi con loro per la copertina di "Evolution"?) considerato da quasi tutti come una grandissima schifezza disgustorama disgustomatico.
Vi dirò con un po’ di vergogna che a me invece è piaciuto abbastanza; ne ho ascoltata tanta di musica psichedelica, di grandi artisti e anche di chi era così fatto da non ricordarsi come ci si allacciasse le scarpe: senza alcun dubbio i Fool rientrano nella seconda categoria e il loro album fa tanta tenerezza, con le sue percussioni ovunque ad cazzum canis e loro quattro tutti in coro dietro ullallà ullallà…però non è proprio questo che rende gli anni Sessanta così speciali? L’ingenuità, la voglia di partecipare, l’ottimismo? È una decade di sedicenni che con tre accordi in croce volevano imitare Muddy Waters e più tardi di fighetti con il tamburello il mano. L’album dei Fool non è assolutamente fuori luogo, anzi, è un bel vaffanculo ai successivi anni di dittatura del virtuosismo con l’Hard Rock e il Progressive.
E poi i loro disegni sono davvero carini.


martedì 13 marzo 2012

Lo Stato Sociale - "LIVE@MM"

Nascita di uno Stato Sociale

2009

Alla fine dello scorso decennio grandi sconvolgimenti erano in atto nella musica italiana. Nelle strade, negli occhi dell'uomo comune, ancora non si percepiva alcunché ma un mondo sotterraneo stava per rilevarsi presto: sotto forma di baffi folti, scarpe scamosciate e magliette larghissime. La metrosessualità hipster incombeva eppur pochi sapevano all'epoca cosa fosse, per dire, la dubstep e di quei pochi nessuno avrebbe immaginato che nel giro di un paio anni sarebbe diventata famosa come una cosa del tutto diversa. Se il 2008 già diede prova di uno sviluppo embrionale (Vasco Brondi fu la dimostrazione sostanziale ma non ancora formale), il 2009 fu il vero anno zero dell'indie italiano: l'anno in cui la scena alternativa uscì allo scoperto. Da una parte, con un neo-cantautorato desideroso di cantare l'Italia del nuovo millennio con grazia (Dente, Brunori SAS) o con irruenza (The Zen Circus, Il Pan del Diavolo); da un'altra con una ritrovata brama d'internazionalità (Crookers, Bloody Beetroots, Zu) e da un'altra parte ancora con un nuovo gusto per generi che nel nostro paese non avevamo mai ascoltato troppo (l'avant-rap dei Uochi Toki o l'emo di Distanti e Fine Before You Came).
Ok, che palle queste divagazioni pseudo-storiografiche inutili: era per dire che in mezzo a tutta questa gente noiosa (si scherza... ma manco troppo) nel 2009 si formò pure, come trio (prima di diventare il quintetto che oggi tutti - grandi e piccini - conosciamo), Lo Stato Sociale
Personalmente, quando li conobbi io (nel 2010, grazie a questa bella recensione della webzine Ondarock per la quale scrive anche Bebo: buuuu riccomandati!) mi piacquero per un motivo assai stupido. Ovvero, sul loro myspace - sì, myspace, ve lo ricordate? Vi ricordate com'era ancora prima del restyling che lo rese, incredibilmente, ancora più brutto? - davano via gratis il loro primo ep e, considerando che il free download di "In Rainbows" era precedente di soli 3 anni e che Bandcamp praticamente non esisteva ancora, per la scena italiana tutta questa gratuità intelligente (perché volta alla promozione) era una roba piuttosto nuova (kudos anche per i FBYC, chiaro). Ciò non toglie che quell'ep fosse una discreta ficatella e assieme a quello si poteva scaricare anche questo "LIVE@MM", sorta di demo registrata in presa diretta con tanto di minipubblico presso lo studio Magazzini Musicali di Bologna con l'aiuto di Nicola Manzan (qui potete vedere un video, registrato con un patata ed editato con un cavolfiore, dell'avvenimento). Esso contiene 4 dei 6 brani di "Welfare Pop", 2 dei 4 di "Amore ai tempi dell'Ikea" e un altro pezzo mai edito altrove, "Giro di vite", tripudio di lancinanti mazzate elettroniche, ritornello urlato "FIDATI DI NOI, STATO SOCIALEE!" e pippone di congedo Tapparella style di Alberto. Di questi 7 pezzi da 90 solo 2 sono arrivati al debutto su album lungo del 2012: i più famosi e apprezzati "Pop" e "Amore ai tempi dell'Ikea" che magari avevate apprezzato perché avevate pensato "Oibò, assomigliano a...". E invece manco pe' niente! Non assomigliano a nulla di ciò che è sbucato fuori negli ultimi 3 anni per ovvi motivi cronologici, tiè.
Per il resto, la musiche di questo disco non sono soltanto versioni più grezze e lo-fi (un bel po' lo-fi) di canzoni che già conoscete ma differiscono leggermente anche negli arrangiamenti e riescono a riportare quella sguaiatezza che tanto li caratterizza dal vivo con un po' di quel cabarettismo ("Buonasera, buonasera a tutti. Siete il miglior pubblico che abbiamo mai avuto") che costruirà il loro impero nei successivi 150 (scentoscincuanta) concerti che terranno nel giro di due anni. Fra tutti i pezzi spiccano "L'apatico", in una versione più scampallenata, più elettronica, più limpida e persino migliore di quella ufficiale e la mia preferita "L'escapista", ancora non ornata dagli archi e per questo sbilanciata più verso l'ansia che la melanconia.
Tutte queste canzoni difficilmente le sentirete dal vivo dato che oggi la band bolognese ha raffinato la sua formula vincente con parole e musiche ben più elaborate e non vuole, per fortuna, tornare sui suoi passi ma "LIVE@MM" rimane un importante quanto divertente, oltre che difficilmente reperibile, documento a testimonianza della strada fatta da questa ragazzi in così poco tempo che sembra un'eternità per come son cambiate le cose nella musica italiana da allora. In meglio, anche grazie a loro.
Inoltre "LIVE@MM" è un modo sufficientemente sfigoato per dirvi che SfigatIndie compie un anno: UEPPÀÀÀ!!!


P.S.: La copertina non è quella ufficiale: è una roba che ho ritagliato io da questa immagine che se non sbaglio era contenuta nella cartella dell'album. Credo che neanche ci sia una copertina ufficiale.

lunedì 5 marzo 2012

Dirty Projectors + Björk - "Mount Wittenberg Orca"

Una supercollaborazione a cappella. Tanto di cappello...
...ehr

2010

Evviva i supergruppi! Specie se son quelli che hai sempre sognato e che mai avresti pensato: tipo Burial e i Massive Attack, tipo Burial e Four Tet, o Burial e Thom Yorke e Four Tet, o Jay-Z e Kanye West, Shakira e Beyonce, Mario e Sonic, Street Fighter e Tekken.
I Dirty Projectors con Björk invece risultano meno strani perché la buttano lì dov'è più ovvio: sulla voce. Da una parte gli africanismi (alla Paul Simon di "Graceland") della band sperimentale americana e dall'altra l'estensione da montagna russa dell'alienetto islandese, ancora memore di quel capolavoro quasi interamente basato sull'ugola che è "Medúlla".
Tema di fondo (non nuovo alla signora Guðmundsdóttir): il mare, che le voci affastellate di queste 7 luminose canzoni ricreano nel suo moto ondoso. Un freddo mare d'inverno che si staglia su un cielo così limpido e puntinato di buffi e giocosi gabbiani e che non riesce a risultare triste.


P.S.: l'acquisto in digitale permette di aiutare la National Geographic Society per la creazione di oasi marine protette  

Paperblog : le migliori informazioni in diretta dai blog