sabato 30 luglio 2011

Patrick Wolf - "Lupercalia"

"Love is here to heal"

2011

Che rumore fa l'amore?
Secondo me questo "Lupercalia", quinto album dell'inglese Patrick Wolf ci arriva molto vicino. Questo giovane David Bowie degli anni zero (simile al cantapopautore degli anni '70 anche per l'ambiguità sessuale) racconta l'amore fresco fresco di giornata, l'amore delle prime settimane, quello entusiasta, spensierato, aproblematico e coinvolgente con una sincerità spiazzante: come se l'avesse registrato proprio nel mentre che era innamorato fracico. Una delizia.
La stampa lo ha bollato come uno dei lavori meno ispirati del Patrizio in questione. Pisciate in culo alla stampa, per favore. Secondo me è semplicemente un lavoro diverso, più pop, più solare e più femminile. Diverso da quel capolavoro del precedente "The Bachelor" che è invece assai mesto e cupo.
Ma provate ad ascoltare il singolo "The City" e ditemi... ditemi se le vostre 'recchie non si prendono una scuffia paurosa per quel brano così annottantino, semplice, pianistico, sassofonato, diretto e innamoroso. 
Amore grasso e incondizionato per il Lupacchiotto: nient'altro da aggiungere.


giovedì 28 luglio 2011

Salem - "King Night"

Bewitched on the dancefloor

2010

Il sogno della generazione rave di fine anni '80 non poteva durare a lungo: la positività, la gioia multicolore, l'asessualità, l'empatia cerebrale con tutti gli esseri dell'universo erano solo illusioni create dai fumi dell'ecstasy. L'assuefazione non tardò ad arrivare. Quella che era una droga innovativa dagli effetti lisergici, che permetteva una "connessione fisica" con la musica, divenne ben presto un semplice eccitante. La musica si comportò di conseguenza.
I primi a rompere il sogno furono i 4hero con "Mr Kirk's Nightmare", traccia di proto-drum'n'bass nella quale si sente un ufficiale di polizia che parla con un tale Mr Kirk per comunicargli una notizia:
"Mr Kirk?"
"Yes"
"Do you have a son named Robert, Robert Kirk aged 17?"
"Yes"
"I'm sorry Mr Kirk, you better come down to the station house. Your son is dead"
"Dead, h-h-h-how??"
"He died of an overdose"
Un immaginario cattivo, freddo e malato si era intrufolato nella dance culture e non ne sarebbe più uscito. Pensate ai Prodigy, allo speedcore, alla darkstep, al breakcore. La malvagità tira di brutto nel buio fumoso delle discoteche.
Negli ultimi anni al puzzle puzzolente della dance darkettona s'è aggiunto un nuovo tassello. Va bene cantare di cose meste, va bene ballare su urla di dolore riprocessate, ma perché non metterci anche un po' di fantasy occulto? Ecco quindi la witch house! No comment sul gioco di parole in questione ma ciò che ne è venuto fuori non è niente male. Leggendo wikipedia non è chiaro come nasca questo filone, però io fra i pionieri inserirei, a costo di apparire impopolare, un certo Gabry Ponte con la sua danza delle streghe... ahem.
Veniamo ai Salem: sono due maschietti e una tipetta dalla faccia simpatica, vengono dal Michigan, durante un'intervista a Rolling Stone offrirono una pasta all'intervistatore (che accettò di buon grado) e il loro primo ep si chiama "Yes I Smoke Crack". Allegria!
La loro witch house contiene i soliti riferimenti al gothic rock anni '80, una spolverinata di grime, dubstep etereo, cori femminili demoniaci e un bel po' di sboronate southern rap (quello con le voci grasse e maranza, qui rallentate per giunta). Il risultato è una botta di brani che vi faranno ballare come posseduti e un po' gelare il sangue e un po' fare la pipì addosso: perfetti per la vostra festa a tema "messa nera con sacrificio del neonato".

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P.S.: per la cronaca, il singolo "Asia" è featurato nella V stagione della serie Skins

 

martedì 26 luglio 2011

The Tallest Man On Earth - "The Wild Hunt"

Bob Dylan è vivo e viene dalla Svezia
"Guà che Bob Dylan è vivo sul serio..." - "Seh!? Me scordo sempre"

2010

Il pianoforte sarà pure lo strumento più completo ma in quanto a espressività non c'è storia: la chitarra gli da una pista. Il suo range di note limitato è ampliato e potenziato dalle sfumature di suono realizzabili suonando con stili differenti e differenti vigori e le imperfezioni del suono emesso - i cigolii, i tonfi sordi, gli echi - lo rendono uno strumento umano, compassionevole ed empatico. Così, dopo essermi a lungo sballato con odorosi scorreggioni sintetici mi fa sempre piacere ritornare per un po' alla semplicità del suono analogico.
The Tallest Man On Earth (aka Kristian Mattson) viene dalla Svezia e a causa della regola della L è probabilmente anche The Saddest Man On Earth. Risulta vantaggioso, allora, per esprimere questa tristezza, avere la voce uguale a quella di Bob Dylan, arrangiare pezzi essenziali ma solidi come Bob Dylan e saper commuovere alla prima botta proprio come Bob Dylan. La chitarra di TTMOE è arpeggiata con scaltrezza e produce un suono limpido e potente come il fragore spaventoso ma affascinante di una montagna di flute da champagne che si deflagrano: ogni sua plettrata colpisce allo stomaco. Mentre l'ultima canzone, "Kids On The Run", l'unica suonata al piano, mi ricorda un po' "Video Killed The Radio Stars".
La registrazione è casereccia, il ritmo intenso, l'umiltà non manca e questo è un disco breve ma che prima della sua fine vi sarà già entrato nel cuore.


P.S.: in realtà il tipo si chiama così perché è alto solo un metro e settanta che per gli standard svedesi equivale al Grande Puffo. Dunque per la suddetta regola non è poi così triste.

sabato 23 luglio 2011

Fuck Buttons - "Tarot Sport"

Diobono come pompa 'sto BBBBBZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZ

2009

I comuni mortali di norma non hanno mai sentito parlare della "drone music".
"Per fortuna!" mi verrebbe da dire, a volte. La drone music non ha nulla a che vedere con le più avanzate tecnologie belliche bensì drone è l'inglese per "bordone", un termine che serve a indicare la ripetizione continua di una nota che può durare anche per l'intera durata di una composizione. Detta così fa un po' paura: ebbene abbiatene. Utilizzato in passato principalmente per musiche d'avanguardia, il drone è diventato un vero e proprio genere nel 1992 con "Earth 2" dei pionieri Earth. Un disco mostruoso e rivoluzionario: 3 brani della durata media di 20 minuti in cui si sentono solo vibrazioni profondissime, ronzii e peti ultrasonici emessi da chitarre elettriche sbrindellate e agitate davanti a muri di amplificatori. La cosa che ci va più vicino è il rumore dei clacson della gente che va a lavorare misto a quello dei martellamenti dei lavori in corso che senti giù in strada mentre sei ancora a letto col mal di testa perché la sera prima hai sgomitazzato di brutto. Una non-musica ambient che non sa cosa sia la melodia: un'ottima colonna sonora per un post-indigestionedimedicinaliscaduti e per far addormentare i vostri bimbi (affinché non si risveglino mai più).
Finalmente nel 2009 l'incubo è finito: sono arrivati i bristoliani Fuck Buttons che, col loro secondo album (il primo è sempre abbastanza inquietante), hanno reso i droni colorati e sbrilluccicosi. E soprattutto ballabili grazie alla produzione del dj Andrew Weatherhall. È bastato mettere un po' di cassa dritta, qualche accenno di melodia e un paio di variazioni progressive sotto la valanga di mega-riverberi e tutto è diventato d'un tratto più arioso e sognante. La sensazione che si prova ascoltando i brusii tonanti di "Tarot Sport" è la stessa che avrebbe provato Dorothy mentre la sua casa veniva sparata nella ionosfera da un tornado se lei fosse stata un attimo più autoironica, ottimista e propensa al divertimento.
Fresco, stordente e appiccicoso come un tuffo in una piscina piena di grattachecca alla menta, questo disco è l'ideale per il vostro lettore mp3 quando andate in spiaggia a rosolarvi fino alle allucinazioni. Anche se sarebbe meglio farlo sparare dalle casse hi-fi del vostro stabilimento al posto di "Danza Kuduro".


mercoledì 20 luglio 2011

Major Lazer - "Guns Don't Kill People... Lazers Do"

Il suono giamaicano del 20X0 con X0 anni d'anticipo

2009

Quando Diplo e Switch se ne andarono a scorazzare per l'isola caraibica delle grosse canne e di Bob Marley con l'intenzione di esplorare la musica dancehall, i musicisti del luogo, probabilmente paranoidi per effetto dell'apprezzata erbetta, non riuscivano a vedere di buon occhio questi due nerdoni pallidi d'aspetto abbastanza metrosexual.
Facciamo un passo indietro: che cos'è la dancehall? In parole povere è "reggae che si balla" e qui qualcuno storcerà il naso e sti cazzi. Nata negli anni '70 come versione bastarda e "bassa" del reggae (ovvero niente liriche sul rastafarianesimo) si è poi evoluta fondendosi al "ragga", il reggae fatto con strumenti elettronici. Ancora non avete capito? Ve lo ricordate Sean Paul? Ecco.
Spesso la dancehall è stata criticata per la sua omofobia e per le liriche un tot misogine e violente. Tutto vero, in effetti. Fortuna che al giorno d'oggi le cose stanno vagamente cambiando e che in questo disco a parte qualche suggestione un po' porno ("You're cute, your breast's stiff and your pussy is fat/ That's why me give you cock what tough like it is a brickhut") non c'è traccia di quella robaccia.
Tornando a noi: alla fine i due nerdoni convinsero i giamaicani poiché, in fondo, non erano mica gli ultimi stronzi avendo già drogato gli album di M.I.A. con beats electropicali assurdi.
Stessa cosa fanno con il progetto Major Lazer: prendono una roba pre-esistente, sfasciano tutte le regole che la tengono assieme e ci ficcano suoni che con quella roba non c'entrano una sega. E ogni tanto pure suoni che non pensavi proprio potessero esistere. Già nella prima traccia "Hold The Line", mentre una drum-machine del XXII secolo spinge di brutto e un giamaicano snocciola rime col suo buffo-arrapante accento, si può sentire, in ordine: passi di zoccoli, una musica da spaghetti-western, Santigold, lo squillo di un cellulare, il "dling" di una cassa, una bottiglia che si rompe, lo schiocco di un bacio, un nitrito, la vibrazione di un cellulare versi di "uccelli digitali", una roba che sembra il suono di un pistola in fase di ricarica, il suono di un telefono isolato, ecc.
Un disco che corre velocissimo sulla lama del rasoio che separa lo sballo boombastico dal cattivo gusto hyperkitsch, la rivoluzione dalla dissacrazione. O lo amerete o lo odierete: comunque vi stenderà a terra come se vi foste sniffati una striscia lunga 10 metri di Bostik tagliato con Haze e Coccoina. 
Boooyaaaah!!!


P.S.: presente nel disco la ganza coproduzione dei nostrani Crookers in "Jump Up"


martedì 19 luglio 2011

Noyz Narcos - "Non dormire"

Horrorcòre de Roma

2005

Ecco un'anomalia della critica musicale italiana: tutto ciò che è "estero" è più prestigioso per definizione.
Ebbene in questa prima metà di 2011 abbiamo avuto una dimostrazione di questa anomalia con Tyler, The Creator e tutta la sua crew Odd Future magnificati dalla stampa che è rimasta a bocca aperta nel vedere questi ragazzini afroamericani  staccarsi dal solito rap gangsta per dedicarsi a temi piuttosto dark e inquietanti.
Mentre negli anni passati (nel 2007 in particolare, ma si parte già dai primi del decennio), quando la scena hip-hop romana si macchiò di rosso sangue con il Truceklan, pochi si cagarono il fenomeno. Quando non lo disprezzarono apertamente. Su SfigatIndie queste cose non ci piacciono e siamo qui per metterci una pezza dato che son davvero fighi e furono anche i protagonisti del mio primo concerto da universitario (qui recensito): al Piper, storica discoteca chic romana, dove riuscii anche a beccarmi un autografo.
Noyz Narcos è il membro migliore di questa crew di simpaticoni che vanno matti per il grindcore e i film di Lucio Fulci e questo è il suo primo disco: lercio e violento come nessun album rap italiano aveva mai osato fare. Il flow scaltro di Noyz accatasta rime con una selezione di vocaboli dal suono duro che ben si sposano con la sua voce grassa e spavalda. Le basi, invece, realizzate da Dj Sano, Syne e dallo stesso Narcos, menano coattissime come una mazza da baseball piena di schegge: giri di piano alla Goblin, breakbeat decapitati con la scure e loop di chitarra metal. La sensazione che si prova ascoltandoli è malessere claustrofobico, spaesamento, nichilismo e voglia di mordere la testa del primo che capita e mangiarne il cervello con un cucchiaino come si fa coi kiwi.
Pezzi migliori "Shabboo" ("faccio sempre piangere bbambine") e "Tour notturno" ("con me sui bpm, te ci lasci i denti"), e poi "Verano Zombie" che è un discorso a parte: il manifesto del genere. Il secondo disco del 2007 si chiamerà proprio così ma soffrirà del fatto di essere troppo "front loaded", caricato sul davanti, con tutti i pezzi fichi (davvero molto fichi) all'inizio e quelli più scialbi nella seconda metà. Inoltre la versione "Verano Zombie pt. 2" contenuta in quel disco è rovinata dal featuring ridicolo con Metal Carter in luogo del più bravo Gemello. Di recente ha firmato per una major e ha pubblicato un disco decente ma ormai svuotato della violenza efferata e lurida dei tempi d'oro. Ricordiamolo così: inzaccherato di bava e bile.

"Tu leggi la bibbia?" 
"Eh, cosa?"
"Tu leggi la bibbia?"
"No..!"
"Bravo, fai bene. Cazzo ce devi fa co' a bibbia, mica te salva la vita"

 

giovedì 14 luglio 2011

Isaac Hayes - "Hot Buttered Soul"

"I'm talking 'bout the power of love"

1969

Isaac Hayes (1942-2008), come tutti sanno, fu il mitico doppiatore di Chef nella fortunata serie animata South Park. Nel 2005 si licenziò per divergenze con i creatori del cartone che avevano perculato Scientology, setta alienofila cui Hayes apparteneva. Chef venne fatto morire in modo assai truculento e inglorioso.
Ma prima di questo per diversi decenni Isaac Hayes si dilettò come chitarrista e fra le altre cose prese la musica soul e la rivoluzionò dalle fondamenta. Proprio come dice il titolo di questo disco prese una bella fetta di soul e la imburrò a caldo. MMMmmmmm...
Il miglior modo per descrivere questo disco (o meglio qualunque disco xD) è attraverso dei sani stereotipi razziali. Hurrah!
I neri hanno il ritmo nel sangue: questo disco ribolle di ritmo. È una pulsazione continua e instancabile, un piacere sordido per la ripetizione. Non a caso i suoi breakbeat, i suoi giri di piano e di chitarra, sono stati poi razziati e samplati da chiunque abbia mai fatto rap. I 4 brani di questo disco sono jam sontuose e selvagge, tanto glitterate quanto sudate, che è impossibile non assecondare con fremiti muscolari. Ma a meno che non siate neri, scordatevi di riuscire a tenerne il passo per tutta la durata.
Try it black and never come back: non so se quello che si dice circa le dimensioni dei neri sia proprio vero, fatto sta che in questo disco il senso della misura non è di casa, a partire dai titoli delle canzoni "Hyperbolicsyllabicsesquedalymistic" per finire alla maestosità di una produzione ricchissima. Solo 4 brani decisamente lunghi: si va dai 5 minuti della soul elegante e paillettosa di "One Woman" ai 18 dello spoken-word-proto-rap di "By The Time I Get To Phoenix".
La pelle dei neri ha un odore pungente: funk, questa è la parola chiave. Questa parola prima di indicare un genere musicale designa l'odore forte che il corpo emette durante un atto sessuale. E questo disco ne è pervaso, ne è avvolto come una nuvola: vi farà perdere la verginità auricolare ma sarà delicato e non vi abbandonerà all'alba del giorno seguente. Ma non pensate che sia una cosa animalesca. Questo disco parla d'amore e della passione in modo concreto, terreno, consumabile ma anche come un potere fortissimo, una tensione inestricabile fra estasi e dolore. Che poi Isaac potrebbe anche dire stramberie: che l'amore è tutta reciprocità anche nei momenti più schifosi, come togliersi i punti neri a vicenda, ma quando quella voce calda e dolce come un toscanello al caffè ti lecca i lobi delle orecchie è impossibile non credergli.
Insomma, se è vero che "le dimensioni non contano, conta come lo usi" e che "meglio corto che tappa, che lungo che sciacqua" questo disco è una trivella per la vostra anima, estesa sia in larghezza che in lunghezza e impugnata da un vero maestro della musica nera.


martedì 12 luglio 2011

Ellen Allien & Apparat - "Orchestra of Bubbles"

Minimal house is in da house

2006

Che poi non so se si tratti veramente di minimal house o minimal techno: queste distinzioni mi son sempre sfuggite e la musica elettronica è cosa fluida e poco classificabile. Questa in particolare è fluida e buona come una confezione da mezzo litro di yogurt al caffè da ingollare, sbrodolandoselo sul pigiama, da appena svegli. 
Ellen Allien e Apparat sono due crucchi che lavorano molto meglio in compagnia che da soli. La signora Ellen Allien è la regina di questa musica apparentemente fredda: possiede, infatti, la BPitch Control, l'etichetta che produce il 90% della musica minimal di qualità (compresi i nostrani We Love, dalla Sicilia, che vi consiglio). Apparat invece fa dischi ambient fondamentalmente pallosi ma sa tirare fuori belle robine se aiutato dal giusto gregario: vedi il progetto Moderat, assieme al connazionale Modeselektor.
Questo "Orchestra of Bubbles" non è minimal in senso stretto: contiene una notevole quantità di suoni differenti. Loop di chitarra elettrica, loop di archi, loop di scacciapensieri digitale e loop di corrispettivo-elettronico-della-plastica-scoppiettante-da-imballaggio che vengono scanditi metodicamente, uno per uno, senza fretta o accavallamenti chiassosi. C'è anche un assaggino di voce sognante.
Si tratta di una musica a metà strada fra l'IDM "cerebrale" (che è una sigla per indicare una musica a metà strada fra ambient intellettualoide e pulsazioni trivella-maroni) e la dance "viscerale". Sembra gelida fuori ma dentro - proprio come il pomodorino di Fantozzi - la temperatura si aggira attorno a 18mila gradi fahreneit di tripudio sinaptico. Un album che fa elettrificare i nervi, tendere i tendini, rotulare le rotule, secernere le ghiandole e provocare un senso di elevazione astrale, giù giù giù, nelle fibre profonde dei muscoli delle terga.
Non abbiate paura di provare cose nuove, di addentrarvi nel magma del suono puramente digitale: cominciate proprio da questo disco fascinoso e spiazzante come un'aurora boreale.


lunedì 11 luglio 2011

Diane Birch - "Bible Belt"

Ce l'hai la soul?

2009

Vi siete consumati ben benino le orecchie con "Rolling In The Deep" di Adele pompata in ogni dove da tutti gli apparecchi radiofonici di qualunque barista, parrucchiere, gommista? Vi siete scaricati "21" ascoltandolo fino alla soglia del delirium tremens?
Bene. Ora giusto per variare un pochino si va nel profondo degli Stati Uniti: nella cosiddetta Bible Belt, quell'agglomerato di stati dove si ritrovano i maggiori gruppi di iper-cristiani conservatori. Quelli che predicano l'utilizzo del sesso solo per fini riproduttivi, che vanno in chiesa vestiti di tutto punto, che dicono la preghiera prima di ogni pasto e che impediscono a Kevin Bacon di ballare in Footloose. In questo bel posticino troviamo il grazioso viso di Diane Birch, figlia di un predicatore, e la sua altrettanto graziosa voce piena di soul mai troppo "stirata". Un lavoro molto più leggero di quello della giovane collega inglese: qualche canzone d'amore intensa ma non troppo e pure qualche divertissement, il tutto sorretto da suoni analogici anni '70 molto piacevoli (cori, piani, tastiere, trombe, ecc.). Mi ricorda un po' Carole King, famosa gattara meglio conosciuta per la hit "You've Got A Friend".
Nell'insieme un disco soul che non è una sòula... ehr...


domenica 10 luglio 2011

Rifoki - "Sperm Donor"

The shape of punk that had to come

2010

Come avevano immaginato i Refused, negli anni '90, il punk dell'immediato futuro sarebbe stato più una questione d'attitudine che di suono. Lo spirito ribelle, al limite del nichilismo, non doveva per forza legato essere per forza a semplici successioni di power-chords. Anzi, questo tipo di integralismo stilistico può solo portare all'avvizzimento di qualsiasi forma d'arte. 
A sorpresa, ad imparare meglio di altri questa lezione fu un ragazzo, tale Bob Cornelius Rifo (è un nomignolo certo) fissato col punk di Bassano del Grappa. Un posto che di punk non ha nulla, un posto dove il punk lo puoi solo cercare dentro di te. Così 11 anni dopo quello dei Refused uscì "Romborama" il primo disco di quel ragazzo e del suo progetto The Bloody Beetroots. Electro-dance sporca e arrabbiata che più che per ballare è la colonna sonora perfetta per una rissa nel bar del film "Dal tramonto all'alba".
Siccome che però il ragazzo è ambizioso - dopo aver dj-settato in giro per il mondo -  ha deciso di riposarsi con un progettino alternativo di punk duro e puro assieme al suo amico dj asiatico-americano Steve Aoki
Dunque Rifo+Aoki=Rifoki. E Rifoki=hardcore new school scatenato.
In meno di 5 minuti per 5 tracce (1 minuto e 27 secondi la più lunga) comprime una violenza e un casino tale da farvi ribollire il sangue nelle vene e spingervi a prendere un megafono per urlare dal balcone truculentissime bestemmie di domenica mattina.


venerdì 8 luglio 2011

The Chemical Brothers - "Further"

Big beat shoegaze

2010

Oggi è il mio ventiduesimo compleanno e vi "regalo" questo disco che mi regalai in vinile esattamente un anno fa.
Se posso darvi un consiglio è meglio se ve lo prendete in cd sul quale le tracce sono collegate mentre nell'edizione doppio vinile vi tocca cambiare lato ogni due tracce anche se, vabè, la qualità e la potenza vinilica di pezzi mostruosi come "Escape Velocity" è comunque notevole.
Sul disco non mi va di dire molto (ho già detto abbastanza qui) a parte che è probabilmente il miglior disco dei Chemical Brothers da 10 anni a questa parte: molto più sognante ma non per questo meno pompante.
Detto questo me ne vado alla ricerca di un disco altrettanto galvanizzante con cui cominciare questo mio nuovo anno, tanto loro me li sballerò allo Sziget (yippee!).
Let'z partaaay!

mercoledì 6 luglio 2011

Protest The Hero - "Scurrilous"

Ma che bello questo riff, e quest'altro, e anche questo, e questo pure, e quest'altro ancora, per non parlare di questo qui che si sovrappone, ma anche quello dopo non scherza... ARGH!

2011

 A volte detesto il metal per come ha insterilito il ruolo della tecnica esecutiva dandole un'importanza eccessiva tale da rendere secondaria la scrittura dei pezzi e la loro carica emozionale: "Mamma, guarda, sto facendo un assolo di mezz'ora!". Mi verrebbe da urlare "ehi, cari MeshuggahDreamTheaterQueensrÿche dei miei coglioni, ascoltatevi un brano a caso di Unknown Pleasures che con 4 accordi sa essere più emozionante di tutta la vostra discografia".
Altre volte trovo dischi come questo dei Protest The Hero che, sotto la copertina fuorviante (bella, ma pare di una roba folk), contiene uno sfoggio di tecnica superbo ma non fine a se stesso. Gli innumerevoli riff velocissimi, i tapping sditalinanti, i cambi di tempo acrobatici, gli ululati canori in stile old-school-metal che si accavallano nei 10 (brevi) brani di "Scurrilous" concorrono a generare un senso di smarrimento, confusione e voglia di afferrare una mazza chiodata e partire per le crociate a bordo di un destriero dal bianco manto.
In realtà, si tratta di un disco molto strano che miscela metalcore, powermetal, progressive metal, mathcore e persino vigorose slappate di basso come in "Termites" (la cui intro mi ha ricordato un pezzo dei Red Hot Chili Peppers).
Sorprende anche per la discreta varietà: mentre la prima parte è piuttosto compatta e mena duro, gli ultimi 5 brani rallentano un po' e sperimentano soluzioni più carezzevoli per le orecchie come insertini elettronici, archi, organi, voci femminili e accenni di funk.
Un mare di frustate chitarristiche intricate ma appassionate dove naufragar è dolce e mai onanistico.

"Sometimes a knife right through your heart is exactly what you need"

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lunedì 4 luglio 2011

The Proclaimers - "Sunshine on Leith"

Scozia coast-to-coast

1988

Dal quinto episodio della quinta stagione di How I Met Your Mother alla mia testa: stuck-on-repeat, a ruota, in fissa. Un disco di 12 brani ma ascolto sempre e soltanto il primo: se avessero fatto un disco che ripeteva per 12 volte lo stesso pezzo nessuno si sarebbe lamentato. Parlo di "I'm Gonna Be (500 Miles)", l'irresistibile inno dei Proclaimers: un semplice pezzo pop-rock che coi suoi acuti e il suo ritornello balbettato porta il fomento oltre il livello di guardia ed evoca un'epico viaggio sulla route 66. I due gemelli scozzesi, infatti, sognavano l'America e il blues: ed è proprio quello che in effetti contraddistingue i restanti pezzi di questo simpatico "Sunshine on Leith" (dal nome del sobborgo di Edimburgo, teatro degli avvenimenti di Trainspotting) che tradiscono la loro vera origine dal marcato accento dei suoi autori. Non sono brutti e spiacevoli, sia chiaro, solo che sfigurano rispetto alla vivace immediatezza di 500 Miles.
Probabilmente i Proclaimers potrebbero fare concerti soltanto con quello in scaletta e nessuno si lamenterebbe ugualmente.

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P.S.: divertente questa apparizione al David Letterman Show con l'anchorman che intervista il duo e fatica a comprendere la loro parlata.

domenica 3 luglio 2011

Washed Out - "Within And Without"

L'amore ai tempi della chillwave

2011

Prendete un brano anni '80 di Sting solista, uno di quelli belli mistici. Fatto?
Ora rallentatelo, opacizzatelo, sotterratelo con echi di synth lontani, riverberi e abbassate la voce fino a farla avanzare a fatica in mezzo agli altri suoni. Poi prendete una foto che ricorda le esperienze tantriche di Sting e sbattetela in copertina: candida e bellissima.
Anche se in questo disco non c'è la stessa foga stinghiana e la stessa durata da record-man, "Within And Without" di Washed Out è un viaggio onirico in un'esperienza sessuale più mentale che carnale. È esotismo da Buddha Bar con l'odore della sabbia umida e del roll-on Dove al posto dell'incenso. È la "Let's Get It On" (la canzone più sexy dall'invenzione del sesso a oggi) dei giovani bianchi degli anni '10. Senza la puzza di funk quindi, senza la passione animalesca, senza orgasmi acuti, senza nemmeno troppo sudore. Bensì un lento scambio di spinte pelviche in un'atmosfera quasi irreale, bianca, fresca, silenziosa e luminosa. Un godimento più mentale che carnale in cui incontrarsi, accarezzarsi, abbracciarsi, baciarsi, pizzicarsi... e venire in modo imprevisto ma continuare quasi senza farci caso; continuare a guardarsi negli occhi per tutto il tempo fino ad addormentarsi, incastonati come due pezzi di Tetris.


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