giovedì 26 aprile 2012

I Blame Coco - "The Constant"

Electro-pop raccomandato

2010

Non accuso il nepotismo: dopotutto sono perfettamente in grado di comprendere che se sei figlia di un musicista, se sei nata e cresciuta in un ambiente pieno di musica, hai accompagnato tuo padre a lavoro in giro per il mondo, risulta assai innaturale anche solo provare a fare qualcosa di diverso tipo, che so, il tassidermista.
Questa è, infatti, la storia di Eliot Paulina Sumner detta "Coco", figlia di Gordon Matthew Sumner detto "Sting", nata nel 1990 a Pisa (perché il papà è fissato con la toscana e ha una casa da quelle parti).
Al di là dei pregiudizi questo "The Constant" può, sì, ricordare senza dubbio alcuni elementi del frizzante synth-pop chitarroso della band paterna ma, in generale, è più assimilabile ad altre artiste electro-pop (con l'accento su pop) contemporanee come La Roux, Ladyhawke, Ellie Goulding  e Marina Diamandis.
Dalla sua Coco ha il pregio di scrivere canzoni meno frivole e "giocattolose" di quelle succitate colleghe e in questo l'aiuta la voce seria e corposa, questa sì, incredibilmente simile a quella del papà.
"The Constant" è un disco più che discreto, godibilissimo e sostanzioso, che pur non restando negli annali, apre la strada a una nuova strafica mascellona del pop.
Ve lo raccomando.


P.S.: Sting è riuscito a piazzare anche un altro figlio, Joe, con la band Fiction Plane

sabato 21 aprile 2012

The Stone Roses - "The Stone Roses"

Un capolavoro. Senza il quale gli Oasis non esisterebbero...urghhh

1989

Oggi è il Record Store Day, gente, il giorno in cui dopo 364 giorni passati a scaricare roba da mediafire ci si ricorda che esistono i negozi di dischi e che la musica ogni tanto si può anche pagare. Evvai!
Per questo vi racconto di quando comprai per la prima volta un vinile: il sopra-raffigurato primo album (il secondo è irrilevante) degli Stone Roses. Un disco bellissimo, fondamentale, indescrivibile e unico nel suo genere. Pensate un po', Noel Gallagher decise di fondare una band dopo aver visto un loro concerto. Gli Stone Roses vengono infatti da Manchester e sotto sotto sono dei coatti non da poco: sebbene infatti questo disco non lo sia, perché nato in un'epoca in cui, sulla scia dei concittadini Smiths, andava di moda fare i dandy maledetti e sofisticati, in seguito i componenti della band si sono sbizzarriti con la loro tamarragine.
Il cantante Ian Brown, ad esempio, ha creato il suo brand di tute in acetato che potete vedere indossato fieramente da lui stesso nella copertina del suo ultimo album "My Way". Un album più che discreto invero, perché checché se ne dica gli Stone Roses ebbero un assaggio di quella mitica fiamma che permette di scrivere canzoni immortali. E non è che il ricordo di tal fiamma si perde tanto facilmente.
Anche se dal vivo son sempre stati inadeguati: ad esempio, il batterista Reni (se vi pare un nomignolo strano sappiate che il bassista si chiama Mani) non è mai stato in grado di eseguire decentemente la vorticosa e incessante "Fool's Gold" (presente solo nella versione statunitense del disco) e Ian Brown è un bel po' stonato. E da quest'anno li potrete rivedere in tutti i grandi festival d'Europa perché si sono riformati!!! Chissà magari son migliorati.
Del disco in sé comunque c'è poco da dire: ha la mia età e se non lo avete sentito dovete ascoltarlo e basta perché è impossibile da descrivere senza usare parole come megastraficaderrimoultrabombotronicocremosoipertrascendentalebazoom.
E pensare che io lo comprai a scatola chiusa: ne avevo letto soltanto sul libro allegato a Rolling Stone "I 500 migliori album di ogni tempo" che lo liquidava alla posizione quattrocentonovantasettesima con due parole, però ero assai intrigato dalla copertina disegnata dal chitarrista John Squire in style Pollock+VitaminaC. Allora, con una mega botta di culo lo trovai per meno di 10 euro in un pidocchioso mercatino dell'usato vicino casa. Diciamo che il prezzo era adeguato perché, nonostante si sentisse perfettamente, la bellissima "Made of Stone" era completamente rigata a livello "sbracapuntina". Per questo l'omonimo disco degli Stone Roses è anche l'unico che possiedo sia in vinile che in cd.
Bene, per quest'anno è tutto: via via, andate a comprare un disco che vi piace molto e lasciate marcire nei magazzini le tonnellate di dischi "meh" in circolazione che tanto prima o poi li troverete alle bancarelle a 50 centesimi l'uno.

Compralo subito o streamalo su Spotify

giovedì 19 aprile 2012

I quartieri - "Nebulose"

Nello spazio nessuno può sentirti piagnucolare

2010

Quando ci si sente soli è sempre la stessa storia.
Non importa se si è su un autobus durante l'ora di punta, in motorino sulla tangenzialeo a lezione all'università. Quando ci si sente soli è un po' come trovarsi su una navicella spaziale, alla deriva nello spazio profondo, che ha perso le coordinate: lontani anni luce da qualsiasi persona che possa aiutarci o semplicemente farci compagnia. Perché in realtà chi ci sta attorno non si trova mai nelle nostre condizioni, non può capirci.
Fortuna che la scienza musicale nel 2010 ha elaborato un medicinale altamente lenitivo che si assume per via auricolare chiamato I quartieri.
La one-man band di Fabio Grande canta di questa solitudine interstellare con voce carezzevole, chitarra reverberata e tanti effetti sonori siderali attorno come se stesse veramente fluttuando con rassegnazione nel buio dell'abbandono alla ricerca di un lumicino di empatia. E inevitabilmente quando ascolterete queste tenere poesie su basi soft-space-post-rock radioheadiane vi sentirete sicuramente un po' meno desolati.
Inoltre questo disco non ha controindicazioni: lo potete ascoltare anche quando siete felici senza deprimervi perché, si sa, la felicità non esisterebbe senza l'infelicità dunque queste melodie agrodolci vi faranno apprezzare ancora di più quello che avete e la moltitudine di stelle nel cielo che, viste così tutte assieme, non sembrano più tanto sole*.

"Satelliti noi non saremo mai
ma nebulose scintillanti
prima orbitammo insieme lentamente e poi
scoprimmo d'essere distanti
in due universi diversi
due universi diversi"


*: no pun intended

martedì 17 aprile 2012

Kindness - "World, You Need a Change of Mind"

Funk che più bianco non si può

2012

Ehi tu, ficone zazzerone inglese che rispondi al nome di Adam Bainbridge, scendi subito da quella copertina!
 Come mai non sei su un cartellone pubblicitario di Calvin Klein? Quello è il posto che ti appartiene: devi fare il modello non puoi rubare il lavoro ai musicisti alternativi che nascondono dietro barbe folte i loro brutti lineamenti compensando anche, dall'altro lato della faccia, la loro calvizie incipiente.
Uno come te non può mettersi di punto in bianco a portare la fichezza estetica nell'indie: non vale. Che poi rovini il giocattolo a tutti se il tuo disco non è solo fatto per mostrare una foto degna di Cosmopolitan ma è anche una ficata assoluta rovinando così l'antinomia 'apparenza qualità'.
Sì, gente, ho trovato finalmente il primo disco del 2012 che mi ha fatto cadere dal letto: che è il luogo dove generalmente ascolto la musica e dove è particolarmente ideale ascoltare proprio questo disco notturno. Da soli o in compagnia (ammicc'ammicco).
Kindness prende la musica pop nera degli anni '80 - funk, R&B, smooth-jazz, house, disco, soul - e la canta come se fosse una roba da bianchi. Che detta così non sembrerebbe una buona idea ma fidatevi che suona tutto magnificamente anche se in modo diverso da come ci si è abituati: semplicemente l'originale bruciante passione black è stata rimpiazzata da un piglio più flemmatico (senza scadere nella noia della chillwave) e misterioso. 
C'è un qualcosa di chimico e artificiale in esso ma che è a suo modo affascinante: è come se Kindness prendesse il calore sessuale di, chessò, un George Benson e lo raffreddasse fino a renderlo semi-freddo. Come un Gran Soleil, diciamo: un prodotto che - Clerici a parte - trovo molto intrigante.
Ok, magari non riesco a spiegarmi bene ma provate ad ascoltare il seducente R&B, tutto basso (elettronico) slappato, di "Anyone Can Fall In Love" (cover della pessima sigla di Eastenders) oppure la magnifica "Swinging Party", cover dai Replacements che mi ricorda non poco "Love Is In The Air" di John Paul Young (una canzone che nessuno plagia mai abbastanza) o ancora il fenomenale mish-mash electro-funk alla Prince in "That's Alright" e poi ditemi se non ne vorrete di più di questo chimicume suadente.
Kindness resuscita con gentilezza, spogliandolo un po' dell'originale edonismo plasticoso, un tempo in cui l'amore si poteva descrivere in modo estremamente sessy e romantico allo stesso tempo.
Un disco arrapante come quelli di 30 anni fa ma 30 anni più tardi: ciò è molto 2012.
E ci piace.


P.S.: cioè a me me piace, poi fate voi.

mercoledì 11 aprile 2012

I Hate Myself - "10 Songs"

"KAMEHAMEHAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA"

1997

 Evidentemente gli adolescenti depressi e alienati che si spappolano l'ugola su basi post-hardcore da piccini si rifugiavano spesso in nerdate come gli anime. Infatti, dopo aver trattato i Descubriendo a Mr.Mime, che si ispirano ai Pokémon (e ora che ci penso mettiamo in ballo anche Il Triceratopo coi suoi temi cinefili), facciamo un passo indietro lungo 15 anni.
Gli I Hate Myself sono fra i gruppi che nella seconda metà degli anni '90 hanno forgiato lo screamo e l'emocore come lo conosciamo (e revivaliamo) oggi. Hanno creato tutti quei cliché che oggi tanto amiamo/odiamo come l'autocommiserazione estrema (già a partire dal nome), come il suono sdrucito e leggermente dissonante anche se melodico, così come i silenzi seguiti da esplosioni di chitarre, per non parlare degli urlacci orrendi da carotide prolassata.
Per quanto riguarda questi ultimi c'è da fare una considerazione: avevano senso! Infatti non urlavano cose idiote come "TiHOviSTAIERISeRaDaLKEbBabBaROMeNTReChieDeViUNApIAdINaSEnZaCipOLLAaA!" bensì ragionevoli incazzature cosmiche come "YoURiPPeDOuTMyFuCKInGHEaRT!!!".
Inoltre, parlavano appunto di tematiche più o meno infantili quali Dragonball Z, Godzilla e Dr. Seuss (autore di libri per bambini con famosi personaggi quali l'elefante Ortone, il Grinch e il gatto col cappello). Chissà, forse la chiave è l'infanzia come unico periodo della vita in cui si può veramente essere felici.
Gli I Hate Myself, come molte altre band screamo dell'epoca, non esistono più e non si trovano informazioni a riguardo: forse perché è dura riuscire a cantare in quel modo a lungo senza sfibrarsi le corde vocali o forse perché hanno deciso di tagliarsi davvero le vene dopo aver visto i ragazzini di Piazza del Popolo che si definivano "emo". Non lo sapremo mai (o forse sì: è giusto una frase fatta tanto per...), ma ciò che è certo è che oggi possiamo sentire queste "10 Songs" (che sono in realtà 11) che hanno contribuito a esprimere in modo schiamazzante uno spleen che bruciava, tutt'ora brucia e contribuirà a bruciare negli animi irrequieti degli adolescenti del primo mondo.
Grazie: voi odiatevi pure che ad amarvi ci pensiamo noi.
ehr... Cheesiness level over 9000, proprio.


mercoledì 4 aprile 2012

Le Raccoltine di SfigatIndie - "3canzoni3"

La prima compilation di SfigatIndie = questo è un blog serio. YEEEEE!!!
No, aspè, è fatta a cazzo di cane = non lo è. YEEEEE!!!

2012
"Quanno se' 'n crisi greativa sempliscemente 'nventa 'na nuova rubbrica cojona: ce metti 'n fotomontaggio blasfemo de 'n disco semi-famoso e ha' risorto" diceva sempre mi' nonno, paciallanimasua.
A dire il vero non so se farò di questa roba una nuova rubrica però questa mi pare un'ottima occasione per parlare di un paio di brani (+ 1) che mi parevano assai interessanti ma che non hanno, a oggi, nessun album in cui rifugiarsi.
Cominciamo con i più seri:

Craxi Driver - "Silvio is Dead"

Loro li ho scoperti grazie a un post di un blog che diceva più o meno "ragazzi, questa è la nuova merdolona!" e io come una indie-mosca mi ci sono fiondato. E in effetti con quelle chitarre taglienti blocpartyane, quella tastierina, quella voce un po' effettata che ripete il ritornello "uhmmmmmmmmm uer's mai fiuciur beibe?!", la morte inventata del nostro amato ex-presidente e un nome carismatico come Craxi Driver non è che si può sbagliare poi tanto. I Craxi Driver sono il progetto di Franz Lenti (direttore di Livù Magazine) da Grottaglie (Taranto, Puglia), un simpatico ragazzo coi mustacchi che da quelle parti credo sia abbastanza un QIP (Quite Important Person: termine che ho inventato al momento).
"Che ne sai?" Lo so perché ho avuto modo di conoscerlo. "E perché?" Perché sono nel video! Pappappero! Perciò sono famoso e mi faccio le interviste da solo! "Come hai fatto ad essere nel primo e unico video dei Craxi Driver girato dalla ganza Qamile Sterna?" Dunque...dato che quando la sentii la canzone mi parve proprio una merdolona bombotronica  scrissi spesso sulla loro pagina facebook "ehi lo sapete che la vostra canzone mi pare proprio una merdolona bombotronica?". "E allora?" Allora un giorno il suddetto Lenti Franz mi scrive "ehi, passiamo a Roma per fare un video: che ne dici di partecipare?". E io "sì, cacchio, sì!"
Oh, che figata di roba è l'internet: mi ha fatto passare un afosissimo e zanzarissimo pomeriggio d'Agosto a correre per Villa Borghese con un monitor in mano ma alla fine posso dire "guarda mamma sono su Youtube!". Il sottoscritto è quello in maglietta bianca e jeans corti non troppo eterosessuali.
Purtroppo, nonostante si fosse parlato anche di un album di debutto ("Italians Do It Worse") al momento il progetto è in stallo. Perciò cliccate sul video, guardatelo una decina di migliaia di volte a testa e rendete i Craxi Driver qualcosa di più d'una one-hit wonder.


DID - "Stop Giving Up"

I DID vengono da Torino, un po' come i Drink To Me (che vengono da Ivrea). E un po' come loro spingono la musica italiana verso succosi lidi sintetici come i succhi di frutta alieni del Lidl. Di questo pezzo non c'è molto da dire tranne che pur essendo sognante e spumoso non lo è così eccessivamente da cadere in quella trappola della noia chiamata chillwave. Non a caso l'ho ascoltato milioni di volte: è così morbido e polposo che proprio non riesco a farne a meno. Proprio una hit primaverile perfetta.



Infine, ecco la boutade musicale:

I Gatti - "Reflex"

Qualcuno si ricorderà che quando spuntarono fuori per la prima volta I Cani assieme a loro vennero fuori alcune parodie come I Criceti e I Gatti. Questi ultimi in particolare avevano anche delle canzoni: non proprio eccellenti, invero, ma comunque ispirate nello stile al gruppo canino in questione. Ma questi Gatti di cui vi parlo ora non sono quegli stessi Gatti. Infatti, esiste un'altra band chiama I Gatti, sempre ispirata a I Cani, che ha prodotto questa perla un po' pirla chiamata "Reflex". Non sono riuscito a trovare mezza informazione circa questa band. Non ricordo nemmeno chi mi ha fatto sentire questo magnifico pezzo gigione con tanto di tastierina assassina per la prima volta. Se ne sapete di più - anzi se siete proprio voi I Gatti - vi prego di informarci. Questa NON può essere l'unica canzone.


Allora che aspettate?

Downloadate subito la magnifica prima Raccoltina di SfigatIndie
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