giovedì 31 marzo 2011

Kings of Leon - "Because Of The Times"

I listened to Kings of Leon before they got mainstream

2007
  
Ho sempre creduto fosse una puttanata quel ritornello indie che afferma che quando una band comincia a diventare famosa la musica ne risente di brutto. In fondo è pieno di band che fanno eccezione a questa stupida regola. Poi conobbi i Kings of Leon. Americani al 100%, campagnoli del Tennessee, tre fratelli e un cugino, figli di un pastore pentecostale, barbuti, rozzi e fuorimoda: mi piacquero da subito col loro indie-blues e southern rock sanguigno e ruvido che narrava storie di perdizione sulle highways. Erano una band figa, consapevole di essere figa, con un solo problema: piacevano un sacco ai britannici (a me li fece conoscere un tipo scozzese) e se piaci ai britannici sei figo, ma non riuscivano a sfondare in patria. In un loro pezzo contenuto in questo album ("Fans") lo dicono pure chiaramente:
"All of London sing
Because England swings and they sure love the tales I bring"
Per quanto diretti, veri e genuini i Kings of Leon erano troppo diretti, veri e genuini per poter entrare nelle tv e nelle radio americane. Ecco dunque come nell'arco di un anno sono passati dall'essere dei bifolchi indie all'essere delle pop-fichette che piacciono alle ragazzine urlanti (non che sia un male, ma qui non si parla più di musica). Contenti loro: noi un po' meno dato che il loro quarto album "Only by the Night" (vincitore di un Grammy, se non sbaglio) è una moscia raccolta di brani pop-rock da stadio patinati, iperprodotti, sovra-arrangiati, smaltati e senz'anima (il quinto album migliorerà un po' le cose ma sempre di pop si parla).
Questo terzo album è l'ultimo fuori dal mainstream e anche il più bello. Ci sono potenti riff di chitarra che intessono melodie ora galvanizzanti ora delicate, linee di basso saltellanti, coretti quasi gospel, storie di gnocche e di Gesù. Ma ciò che davvero fa perdere la testa per questa band è la straordinaria voce di Caleb Followill che canta con una patata in bocca, con un accento burino e con una raucedine abrasiva che a volte si distende e scioglie come una caramella mou quando le cose si fanno più melodiche.
Un disco bello e vario che coinvolge al primo ascolto di una band che ha oramai perso la via del Signore per inseguire quella del Diodenaro.
SfigatIndie vuole ricordarli così, come piacevano a noi.

mercoledì 30 marzo 2011

Supergrass - "I Should Coco"

Britpop-punk

1995

Arrivati nel momento in cui il fenomeno del britpop imperversava sulla scena internazionale, i giovanissimi Supergrass, col loro solido debutto, vomitarono un arcobaleno di spensierato pop-punk (di scuola Buzzcocksiana e Undertonesiana) sul grigiore dei loro più anziani colleghi. Molte band britanniche degli anni '00 più o meno scorreggiose (Arctic Monkeys, Libertines Kaiser Chiefs, Maximo Park, Kasabian, Subways, ecc.) devono molto all'impeto e all'immediatezza di questo dischino che si fregia di floreali schegge pop come la sciocchissima e irresistibile "Alright", colonna sonora ideale per una folle scampagnata in macchina:
"We are young, we run green,
keep our teeth nice and clean,
see our friends, see the sights,
feel alright!"
 Spassosi, sballosi, giovani, accannati, veloci, cazzoni e agrodolci i Supergrass alzano il fomento oltre il livello di guardia. Se avete vent'anni e la vita non vi ha ancora fottuto la fantasia siete ancora in tempo per amarli di brutto.


P.S.: questo pezzo lo si può ascoltare sui titoli di coda dello spisciosissimo Hot Fuzz, decisamente appropriato. E non fatevi bere dalle guardie quando fumate gli "spinelli di droga", occhio ;).

martedì 29 marzo 2011

Girls - "Album"

"And I don't want to cry my whole life through
I want to do some laughing too
So come on, come on, come on, come on, laugh with me"

2009

Indie-rivelazione del 2009, i/le Girls (in realtà son 5 ometti) hanno portato, direttamente dall'oceano Pacifico di San Francisco, una purificante brezza d'aria fresca nello scenario sunshine pop lo-fi americano (scusate parlo arabo). Il loro album è una smitragliata micidiale di canzoncine ricche di chitarrine distorte e coretti gay (aaah, i soliti immancabili adorabili coretti gay di beachboysiana memoria) che mescolano malinconia, gioia di vivere, amore, amicizia, energia e soave pigrizia. Con l'arrivo della primavera dovete assolutamente averlo nel vostro lettore mp3: vi riempirà il cuoricione di gaiezza e vi farà sembrare tutto più bello. Che dire, ad esempio, della sopracitata "Hellhole Ratrace" e del suo bel video in hipster-slow-motion? Un magnifico singolo che ha il pregio di ripetere ad oltranza un ritornello semplice semplice ma gonfio di pulsante speranza che farà sbrilluccicare di luce i vostri animi sensibbili (ehm..). Se una cosa è bella - si saranno chiesti i Girls - perché non farla durare tanto? E infatti, quel ritornello viene ripetuto per quasi 7 minuti leggeri come l'aria, densi di sole, pollini e profumo di lavanda. Maraviglia: nient'altro da aggiungere.
Orsù: accattatevillo!


lunedì 28 marzo 2011

Ultimo Attuale Corpo Sonoro - "Memorie e violenze di Sant'Isabella"

Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.

2009

La prima volta che ascoltai "Empirismo eretico", primo brano di questo "Memorie e violenze di Sant'Isabella", fu come se un treno mi avesse colpito in pieno stomaco: senza fiato, esterrefatto ma anche furente, triste, depresso, sconvolto. La seconda volta fu uguale, così anche la terza e idem per tutte le volte successive. Ogni volta la stessa cosa. La storia della morte di Pasolini, Ostia, la foce del Tevere, quelle parole prima sussurrate e poi urlate, urlate, urlate "come si urla una bestemmia".
Questo è un disco di "normale" post-rock con parti vocali declamate, alla Massimo Volume, o cantate come una nenia; di quelle nenie cui il C.S.I. ci ha ben abituato. Ma la sua importanza, forse, trascende la musica. Tre brani su Pasolini, tre su Nazim Hikmet e un altro su Arthur Rimbaud: non una passeggiata di piacere, quindi.
Su Pasolini immagino sappiate già un po'. Per quanto riguarda Nazim Hikmet fu uno straordinario poeta turco della prima metà del '900 che scontò 12 anni in carcere e altri 12 in esilio per propaganda comunista. In prigione scrisse degli appassionati versi liberi che mescolavano il suo attivismo politico con l'amore, fortissimo, per la moglie.
Arthur Rimbaud fu un poeta simbolista francese vissuto alla fine del XIX secolo. A 24 anni decise di lasciare la letteratura per partire alla volta dell'africa dove diventerà un mercante d'armi.
Vite intense e incredibili per un disco intenso e incredibile: molto difficile da ascoltare per intero e forse non tutte le tracce sono ottime ma, a mio parere, varrebbe l'acquisto solo per la prima colossale e lacerante traccia.
Preparatevi alla botta in pancia.


P.S.: Si ringrazia Radio Molotov per la dritta. Qui una bella recensione.

domenica 27 marzo 2011

Titus Andronicus - "The Monitor"

Una fiammante epopea punk

2010

Musica che infervora gli animi e fa ribollire il sangue: questo è "The Monitor" degli scespiriani Titus Andronicus. Un lungo concept album sulla guerra d'indipendenza americana di energico folk-punk, o meglio di punk folkato: scordatevi quindi la tradizionale idea tutta italiana di folk con i violini e i canti politicizzati. Sebbene qualche sviolinata non manchi, qui dentro c'è pura grinta springsteeniana, voce sguaiata, barbe imponenti, passo marziale e tanta eroica presa a bene che fa brillare gli occhi dalla commozione. Inoltre, credo sia l'unico disco punk in cui quasi tutti i pezzi superino la durata di 5 minuti (l'ultimo ne dura ben 14!) senza annoiare mai.
Mettetelo su quando volete dare un calcio in culo all'universo.

sabato 26 marzo 2011

Doves - "The Last Broadcast"

Pop radiofonico sfigato

2002

Non mi è ben chiaro il motivo per cui i Coldplay siano schifosamente famosi e ricchi e i Doves no: sono entrambi gruppi inglesi e entrambi fanno lo stesso tipo di pop-rock massimalista un po' tristanzuolo. Anzi, i Doves dal canto loro sono molto meno piagnucolosi, meno ripetitivi e decisamente meno patinati.
Sarà che il cantante dei Doves è un tipo grassottello non proprio affascinante come Chris Martin. Lui sì che piace alle donne, e le donne comprano i dischi e i gli uomini regalano dischi alle proprie donne.
Una volta riguardo i Coldplay formulai la seguente definizione:
"I Coldplay piacciono alle ragazze. Per piacere alle ragazze cerchi di farteli piacere. Provi una volta, riprovi una seconda, alla terza volta decidi che è il caso di vivere di rasponi."

I Doves, invece, mi piacciono e manco poco. "The Last Broadcast" è un bel disco di pop romantico e messe un po' da parte le lungaggini progressive (un brano, "M62 Song" è una sorta di reinterpretazione di "Moonchild" dei King Crimson) e ignorato qualche sovra-arrangiamento di troppo risulta un lavoro assolutamente piacevole e a tratti gasante, di quel gasamento che solo il pop-rock da stadio sa dare (provate la fastosa "Satellites").

P.S.: il seguente brano è nella colonna sonora dell'indie-filmetto (500) Giorni Insieme.

venerdì 25 marzo 2011

Fiona Apple - "Tidal"

Sviscerare con eleganza

1996

19 anni. La splendida Fiona Apple era solo una ragazzina quando uscì Tidal, il suo debutto. Sembra quasi impossibile crederci ascoltando queste canzoni così mature, composte tutte da lei (nonostante ad aiutarla ci sia stato uno stuolo di strumentisti di altissimo livello). Piano, voce e tante altre cosine per un jazz-pop (a volte un po' trip-hoppico) intimista e sottilmente incazzato nero che condanna, senza appello, chi gioca coi sentimenti e lo giustizia col dolce siero letale dei suoi versi. Sorprende quindi come sia in grado di colpire allo stomaco, come se tutto ciò di cui canta l'abbia vissuto proprio sulla sua pelle nonostante la giovane età. Strega poi la sua calda voce, forte e delicata insieme, che fa dimenticare alcuni eccessi barocchi negli arrangiamenti e vi taglierà a fettine sottili il cuore come se fosse burro.
Per chi non ha paura di rimanere scosso e senza fiato per 50 minuti di fila.


giovedì 24 marzo 2011

Everything Everything - "Man Alive"

Alt-art-prog-rave-electro-funk-math-brit-indie-pop

2010

Tutto Tutto nel vero senso della ripetizione. Questo combo inglese fa un profumatissimo miscuglione kitsch che davvero vi scioglierà il cervello e ci getterà dentro i crostini per la fonduta. Ogni loro brano è un ottovolante: comincia in un modo, finisce in un altro e nel mezzo ci sono quintalate di variazioni condite da tanti coretti soul-gay che cantano testi verbosissimi e stramboidi eppure assolutamente catchy. Li ho visti dal vivo al Circolo degli Artisti e mi son divertito a cantare sguaiatamente i loro pezzi nonostante non sapessi quasi per niente i testi dato che, come detto, sono astrusissimi.
"Brother you look like the Taj Mahal - one colossal dome above you and the smell of something other,
a pillar and a scimitar"
Al solito al Circolo l'acustica è di merda, specie in prima fila.
Se vi piacciono i Foals, i Klaxons, i Battles, i Duran Duran e Donatella Rettore dovete assolutamente farvi pure gli Everything Everything, la più feeca delle new sensation. Questo disco è davvero una bomba d'esordio.

mercoledì 23 marzo 2011

The Kinks - "The Kinks Are the Village Green Preservation Society"

"I miss the village green,
and all the simple people.
I miss the village green,
the church, the clock, the steeple.
I miss the morning dew, fresh air and Sunday school."
[The Kinks - Village Green]

SfigatIndie è lieto di inaugurare un ciclo di collaborazioni di lusso. Qui abbiamo Cecilia Benedetti che per la gioia delle nostre indieorecchie ci delizierà con la sua retrospettiva su un gruppino imprescindibile. VintagIndie!

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1968

"Dopo i Beatles, i Rolling Stones, gli Who ci sono i Kinks…e hai detto poco!"
[Cecilia Benedetti, Roma, 22/03/11 ore 20:43]

Gli anni ’60 sono generalmente ricordati come l’età più glamour del Ventesimo secolo, la nascita dell’individualismo estetico, il ripudio del passato, il mondo ai giovani e tutti queste robe che non vi sto qui a dire perché tanto su Rai3 una volta al mese ve lo ripropongono a “La storia siamo noi”.
Insomma, largo alla gioventù, si alla modernità e tutte cose (che come ve le sto raccontando io in questo momento sembrano l’incipit delle Leggi Fascistissime del ’26) e contemporaneamente a tutto ciò i Kinks, nell’anno 1968 al climax delle contestazioni, fanno uscire questo disco, totalmente in disarmonia con l’atmosfera che si respirava.
Prima di entrare nel vivo bisogna però analizzare bene questo gruppo: i Kinks sono una delle band più british che si ricordi. Ray Davies è stato spesso considerato il "cantante più inglese di sempre” e nelle loro canzoni si parla sempre di prendere il the con zia Maggie, della regina, dei cagnolinibbelli e di tutte queste stronzate varie che piacciono agli inglesi.
L’infanzia di Ray e Dave Davies deve essere stata una vera e propria bomba: ultimogeniti di una numerosissima prole, nati in un sobborgo a nord di Londra, hanno basato la loro intera carriera rievocando ricordi di quando erano bambini, tanto da chiamare una canzone come la via di casa loro (Denmark street), un intero album con il nome del sobborgo (Muswell Hillbillies) e un triliardo di altri lavori con altre reminescenze del passato ( …una rock opera sul cognato…sì detto così fa ridere però è un album di cristo, ascoltatevelo). Inoltre non risparmiavano aspre critiche nei confronti del movimento beat che caratterizzava la Londra di quegli anni (le canzoni “Dedicated follower of fashion” o “Dandy”).
L’espressione più alta di questo loro sientimento per il passato è sicuramente il concept album “The Kinks are the Village Green preservation society” in cui è mostrato al mondo il loro amore per la vaudeville, la musica anni ’20, i piccoli centri abitati della campagna inglese e i vecchi valori di una volta, non a caso considerato il capolavoro assoluto del gruppo.
La prima canzone (“we are the Village green preservation society”) riassiume appieno tutto ciò che l’album vuole esprimere:
We are the Skyscraper Condemnation Affiliates
God save tudor houses, antique tables and billiards!
Preserving the old ways from being abused
Protecting the new ways for me and for you
What more can we do?

Concetto riespresso nella maggior parte delle canzoni successive: “Village green” citata all’inizo del testo, “Do you remember Walter”, “Last of the steam-powered trains” canzone blues in cui Ray Davies si paragona ad un treno a vapore in disuso messo in un museo per far spazio ai nuovi treni grigi, e via dicendo.
L’album contiene poi una delle canzoni più note dei Kinks, “Picture book” (a-scooby-dooby-doo!) che penso sia stata usata in così tante pubblicità di fotocamere che Ray Davies con tutti i soldi fatti con i diritti concessi si sarebbe potuto mettere apposto i denti una sessantina di volte . Notevolissima “Phenomenal cat”, storia di un gatto grasso che mangia sempre e che quando era magro ha girato il mondo (andando persino a Kathmandu…eheheh *Cat*mandu!) decisamente indianeggiante, nel gusto dell’epoca, e la bellissima “Starstruck”, della quale consiglio la visione del video, che inizia con Ray Davies che in un parco corre verso un bambino di massimo 5 anni che si caca in mano e viene trascinato via a forza dalla mamma, della serie che per un videoclip del genere oggi si rischia la galera.
L’album, manco a dirlo, fu un flop commerciale, ma ricevette copiose sviolinate dalla critica ed è tutt’oggi considerato uno dei massimi capolavori della musica pop anni ’60, nonché il manifesto vero e proprio del pensiero dei Kinks, tanto che negli anni ’70 seguì l’imponente progetto “Preservation act 1&2” che al contrario, per un’ironia della sorte, pose fine al periodo d’oro del gruppo e diede inizio ad un veloce declino di popolarità.
Se non lo avete mai ascoltato non siete degni della mia stima.

"I are Michael Charles Avory, drummer
I be Peter Alexander Greenlaw Quaife, bass player
I is David Russell Gordon Davies, guitarist and singer
I am Raymond Douglas Davies, guitarist , keyboard player and singer
they are Brian Humphries, Alan Mackenzie who contributed
you are our friends for playing the record."

[scritta all’interno del 33giri e successivamente delle versioni su altri supporti]

God save the Village Green!


martedì 22 marzo 2011

Il Genio - "Il Genio"

Smancerie pop alitate nelle orecchie

2008

"Pop porno", sì, sono loro. Ma non siamo qui per disquisire sulle hit, anche se certamente il duo pugliese fece un bel colpo quella volta rimanendo però sempre umile nei suoi intenti e autodefinendosi ironicamente "one hit wonder". 
Oltre quel brano c'è però una manciata di altre canzoni davvero graziose che meritano attenzione. Il loro pop a dire il vero è tutt'altro che porno, al massimo è erotico: misurato, suadente, naif e giocato molto sui chiaroscuri, sul vedo-nonvedo. Il primo disco de Il Genio è una notte di inizio primavera, che spira una brezza ancora fredda ma già carezzevole. Gli arrangiamenti di tastiera sono letali nella loro languidezza scioglicuore e la voce flebilissima della magnifica senza-tette Alessandra Cortini culla e fa addormentare in senso buono.
Non il disco della vostra vita ma diverte e, almeno per una sera, fa un po' sognare e innamorare.



domenica 20 marzo 2011

Bat for Lashes - "Two Suns"

Dark-pop freddo fuori e caldo dentro

2009

Forse la musica pop è uno dei prodotti della nostra cultura che più influenza certi particolari momenti della nostra vita, per via della sua capacità di essere facilmente assimilabile. Allo stesso modo, quello che viviamo cambia a sua volta l'opinione che abbiamo della musica che stiamo ascoltando. Capita così che riascoltare certi dischi e certi brani funzioni più d'ogni altra cosa come una madeleine che ci riporta con la mente ai luoghi, fisici o dell'anima, in cui ci trovavamo al momento del primo ascolto di quei dischi, di quei brani.
Capita, poi, raramente di trovare una connessione perfetta fra quello che la musica che ascoltiamo esprime e quello che vorremmo esprimere ma non sappiamo come fare. Questo è proprio quello che mi è accaduto con questo disco, che acquistai a scatola chiusa in un giorno in cui, ancora non lo sapevo, mi sarei sentito proprio come questo disco.
Bat for Lashes è la bellissima Natasha Khan e il suo "Two Suns" è un disco di musica "pop" di un'oscurità densissima: un buio gelido che avanza e divora tutto. La voce sembra il suono ipnotizzante ed inquietante del vento che soffia fra le fronde di una foresta mentre i freddi suoni di tastiera intorpidiscono le orecchie. Certo uno spererebbe che queste entusiasmanti "convergenze" avvenissero con i Beach Boys, ma tant'è. Fortuna che "Two Suns" non è tutto arido e desolato dall'inizio alla fine: fra le sue glaciali trame di piano si può osservare, nascosta, una flebile fiamma che lentamente scioglie l'iceberg che la sovrasta. E' qualcosa di non ben definibile ma c'è, da qualche parte: ci deve essere. Fintanto che si è vivi non si può vivere e perciò cantare nel puro oblio. E se non avessi avuto questo disco a spiegarmelo forse oggi sarei una persona un po' più triste e macabra. Quindi, al di là delle menate autobiografiche credo che sì: ascoltare la musica giusta al momento giusto faccia bene. E io ho avuto culo.
Non ascoltatelo, quindi, se al momento siete eccessivamente sorridenti e appagati: per i suddetti motivi non vi piacerebbe ma tenetelo comunque da parte.
Per farla facile: un disco della madonna che vi emozionerà in modo turbolento. Garantito.


sabato 19 marzo 2011

Baroness - "Blue Record"

Metal, con passione

2009

Secondo me la copertina di un disco è importante. Ok, chiaro che oggi la sua importanza stia scemando in quanto capita spesso di ascoltare mp3 di dischi di cui non abbiamo idea di come sia fatta la cover; rimane, tuttavia, il fatto che, ancora oggi, se un artista ha intenzione di vendere un disco in formato fisico la copertina ce la deve mettere. Quindi, solitamente, quando vedo una copertina orrenda mi metto in guardia: so già che quello che sto per ascoltare sarà, nell'80% dei casi, un disco fetente. A una copertina brutta infatti corrisponde spesso e volentieri il fatto che l'artista non ha veramente a cuore l'opera che ha prodotto, in quanto probabilmente malriuscita, poiché se le cose stessero diversamente la curerebbe con passione in ogni minimo dettaglio, grafica compresa.
Domanda: in quale genere c'è il più alto numero di copertine cagose?
Risposta: il Metal.
Altra domanda: in quale genere si conta il più alto numero di dischi penosi?
Risposta: il Metal.
Le cose sono correlate. Non ci credete? Cliccate un po' su queste parole (chiedo scusa a tutti quelli che si sentiranno male alla vista di questi abomini grafici).

"Blue Record" dei Baroness ha una copertina bellissima, che ricorda un po' certe illustrazioni in stile liberty, disegnata dal cantante della band John Baizley (consiglio di dare un'occhiata ai suoi lavori) pertanto "Blue Record" dei Baroness è un disco bellissimo. Non sto scherzando: è probabilmente il miglior disco metal uscito nel 2009. Con le sue sonorità sludge (ovvero suoni densi suonati non troppo velocemente) questo dischetto blu è compattissimo e variegato a un tempo senza mai strafare "ingozzando le orecchie" di suono, come fa la quasi totalità dei dischi metal. Finalmente, un album del genere che si riesce ad ascoltare dall'inizio alla fine. Ad aiutare la digeribilità del tutto ci sono certi elementi tipicamente progressive (NO! Non "progressive metal", non fatevi strane idee) che non significa brani-di-10-minuti bensì un tipo di musica che è anche narrativa. Troviamo qui, a tal proposito, degli speziatissimi riff di chitarra che con le melodie che intessono sembra proprio che stiano raccontando una storia, una storia molto avvincente; non a caso c'è un leitmotiv che ritorna spesso durante il disco. Non troverete in quest'album una sola esibizione gratuita di tecnica, non un assolo inutile, ve lo giuro. Per quanto riguarda la voce è roca il giusto ma misurata e sempre comprensibile nel declamare liriche per nulla necrofile, scappando ancora una volta da uno dei peggiori stereotipi del genere.
Insomma, un disco davvero originale la cui bellezza trascende il recinto del suo masturbatorio e autoreiterante genere.


giovedì 17 marzo 2011

The Pogues - "Rum Sodomy & the Lash"

Il folk-punk irlandese marinaresco che vi farà vomitare tutto il grog sul ponte

1985

I Pogues sono descrivibili essenzialmente con la foto del loro cantante: Shane MacGowan. Rozzi, brutti, vissuti, puzzolenti, sbronzi e genuinamente punk. Non potete salpare senza portare con voi questo disco fondamentale (la cui copertina riprende "La zattera della Medusa" di Géricault e il cui titolo è una citazione di Winston Churchill) e non potete certo visitare i più sozzi bordelli senza impararne dall'ascolto i fondamenti dell'accento irlandese per mettervi d'accordo con le meretrici. Questo disco, e i Pogues in generale sono stati sicuramente d'ispirazione per i nostri Modena City Ramblers che, piratescamente, ne hanno razziato uno dei pezzi più belli: "The Old Main Drag" è stata ricalcata nella loro "Contessa".
Per brindare, ruttare e vomitare Guinness in compagnia non c'è disco migliore.
Buon San Patrizio!
 

P.S.: Questo disco è stato prodotto dal grande Elvis Costello che poi s'è sposato la bassista.

The Good, the Bad & the Queen - "The Good, the Bad & the Queen"

Londra brucia ancora, ma senza far rumore

2007

Damon Albarn, voce dei Blur; Paul Simonon, bassista dei Clash; Simon Tong, chitarrista dei Verve; Tony Allen, batterista di Fela Kuti. Con una formazione del genere i The Good, the Bad & the Queen smentiscono una delle leggi fondamentali dell'indiependenza "I “supergruppi” fanno sempre cagare. Obiettivamente.". Questo supergruppo non solo non fa cagare ma ha sfornato uno dei dischi più significativi del decennio appena passato. Un concept album sulla vita nella Londra moderna: decadente, nostalgica eppur ancora pulsante. Difficile definirne i suoni: inserti elettronici, arpeggi malinconici, spruzzi di psichedelia e semplici e sconsolati ritornelli pop si fondono morbidamente sullo sfondo grigio del cielo londinese. E sì, c'è pure un po' di quella pacata gloriosità morriconiana cui si rifà il nome del progetto.
Un disco semplicemente bello, da ascoltare quando piove.


mercoledì 16 marzo 2011

Uffie - "Sex Dreams And Denim Jeans"

Glitter Champagne

2010

Se non sapete chi è Uffie non siete indie...
E vabbè, d'altronde, siete qui per imparare e un giorno aspirerete pure a diventarlo, no? Cioè non solo nel senso sfigato (di cui questo blog alza il vessillo) ma anche in modo proprio fico, del tipo che vi invitano alle feste dove si balla e le ragazze esalano Flower by Kenzo dalle loro ascelle pezzate. Non vi sballa un po' l'idea? E allora dovete partire da qui.
Uffie è una fighetta odiosa: è ricca, è bona e ha avuto un culo della madonna.  A un certo punto della sua vita, infatti, dopo aver girato mezzo mondo questa squinzia ha deciso di andare a vivere a Parigi, così a buffo (tanto è ricca di famiglia), come una novella Henry Miller.
La tizietta in questione è riuscita sfondare nel mondo della musica elettronica col metodo più vecchio del mondo: facendosi sfondare. Niente gavette, niente demo inviati a destra e a manca, niente concerti in squallidi bar. Solo una liaison con un tale francese, DJ Feadz, il quale le ha prodotto la sua prima fantastica hit "Pop The Glock" (la canzone con il video più indiefighetto mai visto) e poi via verso le stelle. La collaborazione col fighissimo duo electro francese Justice è arrivata subito dopo. "Sex Dreams And Denim Jeans" (titolo che fa presagire un lavoro molto impegnato) è un dischino di electro-hip-hop carino carino da mettere su alle vostre feste hipsteriche: preparate le magliette larghe e i bracciali fluo!


P.S.: per la cronaca questo dischetto è stato anche recensito dal mitico programma N.E.R.D.S. di Radio Kaos Italy. Ve li consiglio ;)!
P.P.S.: se invece voleste leggere una mia recensione più approfondita cliccate qui

martedì 15 marzo 2011

Dizzee Rascal - "Boy in da Corner"

  
"sei nell’angolo più di Dizzee Rascal"

2003

La frase lì sopra è di Caparezza, è un verso del suo pezzo "Non mettere le mani in tasca". Il rapper pugliese è uno dall'o(re)cchio lungo, si sa, e non poteva essersi lasciato sfuggire questo disco. Dizzee Rascal è inglese, è cresciuto nei sobborghi di Londra ed è una delle cose migliori che sia accaduta non solo all'hip-hop ma alla musica tutta negli ultimi 10 anni. Pubblicato per la molto indie etichetta XL Recordings "Boy in da Corner" uscì quando Dizzee aveva solo 18 (dici-otto!) anni e il primo pezzo (che poi diventerà il primo singolo) "I Luv U" lo scrisse a 16 (se-dici!). Ciò che è davvero spettacolare di questo disco sono i suoni: lo stile è il "grime", un approccio tutto inglese all'hip-hop. Ovvero si rappa su basi "2-step garage", ovvero un tipo di musica elettronica in cui le ritmiche non hanno la cassa (quella che fa pum-pum esatto), ma compensa questa mancanza con ritmi dispari sgangherati e con linee di basso profondissime. Difficile da spiegare: bisogna sentirlo. Quello che davvero stupisce è l'abilità di Rascal nel seguire le sue basi (sì, proprio composte da lui, ricordatevi quanti anni aveva e mettete pure in conto che nessuno aveva fatto nulla del genere prima) che ancora oggi suonano "aliene" e assai strambe nel loro minimalismo acrobatico: "Devono molto di più ai videogiochi e alle suonerie dei telefonini che a qualsiasi altra cosa strettamente musicale" scrisse Pitchfork all'epoca, e aveva ragiona. E un suono così grezzo nato dalla strada non poteva che essere accompagnato da tematiche da strada: naturalmente si parla delle strade di Londra, ben diverse da quelle di Los Angeles o di Brooklyn. Sputacchiando parole col suo accento cockney marcatissimo, Dizzee Rascal ci narra con maturità e sensibilità degli scazzi quotidiani di un 18enne di periferia: rogne fra babygang, delusioni d'amore e gravidanze indesiderate. Tutto qui: cose vere. Non c'è spazio per sboronate all'americana. "Boy in da Corner" non è un disco facile, siete avvertiti: dura tanto e ascoltarlo tutto d'un fiato è un'impresa, data la sua claustrofobicità in alcuni momenti. Vi suonerà strano se siete abituati a rap e hip-hop tradizionali (specie se l'unico che avete mai ascoltato è quello di Caparezza). Molto più probabile che vi piaccia se siete avvezzi alla musica elettronica, dubstep e giù di lì. Quello che farà dopo, invece, sarà leggermente più radio-friendly e ballabile. Ad ogni modo, un ascolto lo merita di sicuro: potrebbe fottervi la testa sul serio se vi prende.


P.S.: Ad Agosto di quest'anno sarà presente al fighissimo Sziget Festival, un motivo in più per andarci!

domenica 13 marzo 2011

PJ Harvey - "Rid Of Me"

"Leccami le gambe, sono in fiamme"

1993

Ogni riff, ogni colpo di cassa e rullante, ogni gorgheggio orgasmico, ogni ritornello insistente di questo disco è una sciabolata castrante. PJ Harvey è la ragazza più tosta e più selvaggia che potreste mai conoscere e "Rid Of Me" è il disco che sancisce definitivamente la supremazia della donna sull'uomo. Con pochi accordi blues scorticatissimi, arrangiamenti minimalisti, una voce famelicamente multiforme e zero orpelli inutili questo disco annichilisce 50 anni di rock machista. Se siete uomini alla fine di questi 48 estenuanti minuti lo sarete un po' di meno. Le orecchie fischieranno, lo stomaco gorgoglierà e finirete, inevitabilmente, per diventare schiavi della cara Polly Jean. Farete tutto quello che vi urlerà di fare: le leccherete le gambe, vi prostrerete, vi pentirete di esservi innamorati di lei, la "massaggerete fino a farla sanguinare" (sic) e vi sforzerete di non farla "rimanere asciutta" (ri-sic). Insomma, sarete vittime di una mantide religiosa che vi userà e divorerà.
Se siete donne, bè, probabilmente comincerete a chiedere di meno e a prendere di più. Proprio come ha fatto PJ con la sua spettacolare carriera.
Un disco fottutamente liberatorio e giusto. 


giovedì 10 marzo 2011

TV on the Radio - "Dear Science"

L'indie-funky-soul che sperimenta e commuove

2008

I Tv on the Radio sono in 5 ma vale la pena citarne solo tre. Due (Tunde Adebimpe e Kyp Malone) sono due neri con due belle capigliature e cantano spesso insieme di modo che le loro voci super-elastiche si intersecano in un vortice soul che fa perdere il senso dell'orientamento. David Sitek, invece, è un nerd bianco che ha lavorato con un sacco di gruppi famosetti (Yeah Yeah Yeahs, Liars, Foals...) ed è l'anima sperimentatrice del gruppo. Prendete questi due elementi (sperimentazioni e sperticatezze vocali) ed avrete "Dear Science", terzo disco dei niùiorchesi Tv on the Radio: un bell'intruglio di pop alternativo, ritmiche elettroniche dispari, chitarre ora distorte ora pulite, trombette a volontà e coretti frocietti beachboysiani. Stranamente il pezzo più bello, quello che davvero fa un buchino nel cuore e lo fa svolazzare via come un palloncino fino a farlo afflosciare a terra è "Family Tree", una semplice e intensissima ballata per piano e voce che, anche se non è ben chiaro di cosa parli, è sorprendentemente gloriosa e triste. Notevole anche l'afrodisiaco e pomposo inno all'amor carnale "Lover's Day". Insomma, un disco da avere se vi piacciono le emozioni forti ma non vi aggrada la dozzinalità di Bryan Adams
I due dischi precedenti questo sono quasi altrettanto belli ma forse leggermente meno omogenei. E quest'anno esce il quarto: evviva. 


P.S.: il concept della bacheca in copertina è stato poi "rubato" da Battiato

         

mercoledì 9 marzo 2011

Teenage Fanclub - "Bandwagonesque"

Il manifesto dell'indie-rock anni '90

1991

Bisogna cominciare facendo le cose in grande.
Con una bella copertina accecante, quindi.
Questo album uscito nel 1991, anno di intensi sconvolgimenti nel rock, è semplicemente fondamentale nella sua semplicità: alla fine si tratta soltanto di power-pop con un bel po' di chitarre distorte e fischianti. Soltanto il primo pezzo, "The Concept", varrebbe da solo l'acquisto: 6 minuti di romantica indie-nenia "I didn't wanto to hurt you, ooooh yeaaah". Ma il resto non è da meno, anzi questo album da pure troppo in una sola volta e non si può rimanere indifferenti davanti a versi indiepici come "I wanted to assassinate December". E se con la tenerissima "Guiding Star" non vi commuovete un pochino per poi scoppiare in lacrime con la successiva e gloriosamente strumentale "Is This Music?" bè probabilmente siete degli zombie. Dico sul serio: il vostro cuore pompa amianto, fatevi controllare.
Gli scozzesi Teenage Fanclub hanno poi sfornato tanti altri dischi tutti belli e ancora oggi spaccano i culi, ma la matrice rimane sempre questo capolavoro. Fatelo vostro!

Compralo subito o downloadalo prima

P.S.: Alla fine del 1991 la famosa rivista Spin premiò Bandwagonesque come album dell'anno alla facciazza di Nevermind dei Nirvana.

SfigatIndie: un blog né caldo né pesce

SfigatIndie: Canzoni che non piacciono al/la vostro/a ragazzo/a;
SfigatIndie: Band che non sanno di esistere;
SfigatIndie: Canzoni che vi sembrano bellissime ma che quando le fate sentire alla persona che vi piace quella esclama "che è sta lagna?";
SfigatIndie: Musica che non conosce nessun altro nel raggio di almeno 20km;
SfigatIndie: Musica che non puoi condividere coi tuoi amici "perché non la capirebbero".
SfigatIndie: Non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che non piace ad altri;
SfigatIndie: Musica per piangere sotto la pioggia cosicché le lacrime si confondono.

Questo è SfigatIndie, un blog dove trovare emozioni che, possibilmente, non sentirete mai in radio. Anche se le eccezioni non mancheranno
Io sono Frankie e questa è la musica che mi piace. E, se avete un cuoricione o un fegato della giusta dimensione, bè, piacerà anche a voi.
Si comincia.

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