martedì 31 maggio 2011

Alberto Arcangeli - "Dreamsongs"

Naïvetés vintage per chitarra e voce

2009

 Continuando il discorso di ieri sugli spot pubblicitari che vogliono far sembrare un mezzo di trasporto caga-veleni un essere in grado di vivere in armonia con la natura, oggi parliamo dello spot dei pneumatici Continental: dei cosi molto fichi e virili che non sembra vadano mai riparati col cèvingùm ma che sotto sotto sono dei teneroni in grado di frenare in tempo per non spiaccicare un grazioso porcospino: cutest spiky little bastard evaaar *__*!
Al di là della discutibilità di tale pubblicità ad aumentarne la pucciosità contribuisce, oltre il suddetto topo puncicoso, la colonna sonora composta da una tenera canzoncina acustica canticchiata in inglese. La canzoncina in questione è, sorpresa sorpresa, di un ragazzo marchigiano. Si chiama Alberto Arcangeli ed è proprio l'autore del disco di cui parleremo oggi! Quanti colpi di scena su SfigatIndie, oibò...fatemi prendere una boccata d'aria.
Ordunque questo è il suo ultimo album al momento disponibile: si tratta di nove brani, 4 pezzi originali e 5 cover. Quest'ultime tradiscono una certa passione dell'Arcangeli per il folk-rock anni '60: Kinks, Moby Grape, Zombies, Buffalo Springfield e Nashville Teens (che in realtà erano inglesi). Una passione talmente forte che queste canzoni sono rese proprio identiche spiccicate, senza una nota fuori posto. Perfette. L'unica differenza sta giusto nella forma: registrazione vagamente lo-fi e tono della voce un po' più "duro" rispetto alle originali, che all'epoca andava di moda cantare con la pressione bassa. Ma il piatto forte son le sue canzoni a partire da "Dream Song", quella della reclame, infiorettata da una tastierina morbidissima arrivando alla splendida "Touched By A Cloud" col suo ganzissimo svolazzo pissichedelico introduttivo.
Un dischetto semplice e corto: genuino come il pane di una volta, quello che nessuno ha mai assaggiato ma che tutti rimpiangono, da assaporare durante una fresca giornata di fine primavera seduti in veranda su una sedia a dondolo a guardare il vento.


P.S.: sul suo sito è possibile scaricare il suo primo disco in italiano e guardare il video del singolo di lancio, "Wheels and Love", per il suo prossimo disco: un gioiellino realizzato con la tecnica dello stop-motion con frame dipinti su vetro.

lunedì 30 maggio 2011

Die Toten Hosen - "In aller Stille"

Vecchi punk krukki

2008

Oggi ho visto uno di quei nuovi spot della Mercedes, quelli col tipo che paragona il guidare una macchina da 30mila e passa euri a un ritorno alla natura, e mi è preso un odio generalizzato per tutti i tedeschi. Poi mi sono ricordato dei Die Toten Hosen e mi sono un po' calmato.
Die Toten Hosen significa letteralmente "I Pantaloni Morti" ed è lo stupido nome che si è dato una band punk di Düsseldorf che dal 1982 a oggi ha pubblicato una caterva di dischi, alcuni anche molto belli e non tutti prettamente punk duri e puri (diciamo più "Clashani"). In Italia sono perlopiù sconosciuti a parte per una cover perculatoria di "Azzurro" fatta in occasione dei Mondiali di Calcio del '90. Inoltre il cantante ha uno stupido nome d'arte, Campino, e nel 2008 si è riciclato come attore per Palermo Shooting di Wim Wenders.
Io li ho conosciuti tramite questo loro ultimo disco perché sapevo avrebbero suonato allo Sziget Festival 2009 dove ero in procinto di andare. Il concerto fu carino. Il disco, invece, è forse il classico "ultimo-disco-di-una-band-pluriventennale-di-cui-nessuno-sentiva-veramente-il-bisogno" eppure non è davvero niente male. Non è un capolavoro, non è originale ed è tutto latrato in tedesco eppure fila via che è un piacere fra pezzi grintosi un po' Stoogesgianti, un po' Vascorosseggianti e ballate romantiche e teatrali come"Auflösen".
Un bel dischetto che vi farà pogare bellamente (da soli, ovvio, dato che lo conoscerete solo voi) mentre vi esalterete inventandovi le parole di una lingua austeramente ruvida e poco musicale.
Una lingua severa che ha saputo generare perle come:
Bitte Keine Gegenstaende Aus Dem Fenster Werfen

Compralo subito o downloadalo prima

P.S.: il pezzo che segue è un palese plagio di "My Sharona" dei Knack e di "On A Rope" dei Rocket From The Crypt ma ha comunque una grinta catarrosa che gli anglofoni si sognano.

domenica 29 maggio 2011

El Guincho - "Pop Negro"

Clisteri di Mojito

2010

Ieri ho visto la finale di Cèmpions Lig: ha vinto il Barcellona. Dunque m'è venuta voglia di robe spagnole: in quel posto lì sara pure pieno di punkabbestia puzzolenti ma c'è un fermento e una serietà nel far funzionare le cose che qui ci sogniamo.
Allo stesso modo, poco seriamente, non ho nemmeno molta voglia di scrivere allora copio-incollo un pezzo di recensione di questo disco fatta da me su DeBaser, dove non se l'è cagato nessuno, perché è domenica e non c'ho voglia de fa 'n cazzo.

El Guincho (barcellonese alla seconda uscita) mette subito le carte in tavola: tropicália, balearic beat, merenguate varie, spruzzi di dubstep e sax suadenti. Parole che non significano quasi una mazza ma che fanno tanto fico e fanno venire voglia di ascoltare il disco, che è l'unico modo per capire visto che non ci sono cose eccessivamente simili in circolazione (a parte il precedente disco "Alegranza"). Già dal primo pezzo, "Bombay", stordisce ed esalta con le sue percussioni al tamarindo e i coretti che ti alitano negli orecchi: provare per credere il succosexyssimo alienante video. Il cantato in spagnolo non fa che aumentare l'eccitazione e la voglia di bailabailabailabailar inebriati fino all'alba, fino a quando non ti si rompono i tacchi a spillo o non cadi per via dei pantaloni scivolati alle caviglie. Questo è un disco che ti porta l'estate anche mentre stai seduto in seggiovia a Madonna di Campiglio, un disco che ha lo stesso effetto di una pasticca di mdma nella Piña Colada o di un lime infilato nel sedere (aggiungere menta e zucchero di canna a piacere). 
D'altro canto come si fa a dire di no al cadavere del polpo Paul in copertina?


P.S.: oppure ascoltalo tutto in streaming

sabato 28 maggio 2011

Dan Black - "UN"

Il disco pop solista di Quello-dei-The-Servant

2009

Salve a tutti, mi chiamo Dan Black e sono inglese. Forse vi ricorderete di me perché ero il cantante del gruppo The Servant... no? Dai, che cantavo quella canzoncina carina "there is an orchestraaaa in meeee"... non vi dice niente? Allora, che ne pensate invece di quando facevo il vocalist per i vostri connazionali Planet Funk, sorta di Chemical Brothers napoletani? Quelli ve li ricordate di sicuro specie quel pezzo là di cui non ricordo il nome... vabè. Fatto sta che ora ho fatto un disco, un disco tutto mio. Cioè non proprio "ora" dato che è del 2009. Il fatto è che non se l'è cagato nessuno - mortacci vostra - e allora mi ritrovo qui a parlarne in prima persona su questo blog del cazzo perché il proprietario non aveva molta voglia di scriverne. Mi ha detto "cacchio, hai la voce uguale a quella di Mika!". Io gli ho risposto "magari è quel frocio di Mika che canta sputato a me". E lui "bè, la tua voce gracchiante assomiglia anche un po' a quella di Eros Ramazzotti". Fanculo. "Anzi, no, a quella di Brian Molko più gay!"... Hai finito?
Bè, dicevo, ho fatto questo disco pop che sono sicuro vi piacerà: è fresco, morbido e pieno di melodie elettroniche carine . Anche se la base ritmica della prima canzone, "Symphonies", l'ho presa da "Umbrella" di Rihanna. Ma fidatevi, vi piacerà: praticamente ogni canzone è un potenziale singolo a me piacciono davvero tutte. Certo, capisco che messa così è come chiedere all'oste se è buono il suo vino però vi posso giurare che qui c'è il proprietario del blog con le cuffie che pare si stia divertendo non poco. Come come? Cosa? Stai ascoltando Mika?! Aaargh, vaffanculo! Che vita di merda, cazzo! Ma perché proprio io devo fare la popstar sfigata che canta alle sagre di paese? 
Gnèèèèè bwbababaaaaaaaaaaahhh...


venerdì 27 maggio 2011

Big Black - "Atomizer"

Musica per bambini cattivi

1986

"Oh, ma che copertina simpatica!" pensai la prima volta che la vidi. 
Brutta bestia l'apparenza. Perché dietro a questo disegno fumettoso che evoca non poco le armi ACME dei Looney Tunes (la band inizialmente aveva intenzione di inserirci Marvin il marziano ma dovette rinunciare per ovvi motivi di copyright) si nasconde un disco crudele, famelico e nichilista. Certo la sorpresa si smorza un po' se considerate che questa fu la prima band di quel nerd pazzoide di Steve Albini, uno che ha partorito anche altri mostri musicali come Rapeman e Shellac (band citata pure dal Truceklan!) e ha lavorato per gente come Nirvana, Neurosis e persino i nostrani Uzeda. È un disco di un cinismo sconcertante che concerne prima di tutto l'elemento sonoro, nonostante i testi non è che siano roba da Albero Azzurro. Perlomeno quando ero piccino io Dodò non mi pareva parlasse di pedofilia, distruzione e traumi post-Vietnam.
I Big Black hanno imparato bene la lezione dei Killing Joke estremizzandola in un industrial-punk fatto di drum-machine alienante e riff sferraglianti di chitarre che pare abbiano i fili dell'alta tensione al posto delle corde.
Un viaggio allucinante in un mondo che, nella visione Albiniana (inquietantemente non lontana da quella reale), puzza in modo insopportabile di un misto di trielina, odio e dolore. Vi farà vomitare bile mentre ballerete con lo stesso incedere e sentimento di un robot attorno a un mefitico falò di pneumatici.

Compralo subito o downloadalo prima

P.S.: qui trovate un'ottima recensione

mercoledì 25 maggio 2011

jj - "jj n° 3"

Un electro-pop galante

2010

Ah, è sempre una bella paraculata parlare di un disco facendo affidamento sugli stereotipi della nazionalità dell'artista. Togliamoci subito sto dente, allora.
Svezia = black metal, freddo, premio Nobel, capelli biondi, tette enormi, Ikea e Ibrahimovic. Ecco il duo svedese jj ne becca solo due, per fortuna. Il primo riguarda le bionde chiome e vabè, un classico. Il secondo, a sorpresa, riguarda il calciatore macedone naturalizzato svedese di cui i due sono fan talmente sfegatati che in un loro brano, "Into The Light", hanno addirittura inserito un pezzo di telecronaca in italiano di un suo gol. I due, però, non sono nuovi a questo tipo di truzzate poiché nel disco precedente è presente, pensate, un sample di quella tamarrata di "Lollipop" di Lil Wayne: la cosa buffa è che, comunque, è implementata superbamente, in modo quasi raffinato oserei dire. 
Per il resto i jj fanno un electro-pop elegante e candido, proprio come questa copertina, che fa largo uso di archi, piano, xilofono e tamburi per una musica sontuosa e serena ma allo stesso tempo composta, quasi inespressiva. Possono essere, in un certo senso considerati la controparte luminosa dei The Knife.
Pezzo migliore del lotto il singolo "Let Go" che parte con una simpatica armonica dylaniana, sfoggia un'arpa riverberata e sfocia in una lussuosa danza tribale fatta di pizzi, merletti e strass.
 È gradito l'abito da sera.


martedì 24 maggio 2011

Drink To Me - "Brazil"

"You must... you must dance!"

2010

Si narra che Isaac Newton, fra i tanti suoi bizzarri esperimenti, una volta provò a fissare il sole per capire che effetto potesse avere sulla vista. Non divenne cieco ma dovette ugualmente rimanere a riposo per una settimana in una stanza buia prima di rimettersi.
È proprio questa storiella, quasi leggendaria, che mi torna in mente ascoltando il secondo album dei Drink To Me. Penso a cosa possa aver visto veramente Newton in quell'occasione: me lo immagino steso sul letto con gli occhi chiusi ma con ancora un globo di un bianco mostruoso fisso nel suo sguardo, nel suo cervello.
A questa stessa sensazione di luminosità immensa e ineludibile probabilmente pensavano questi ragazzi piemontesi mentre immaginavano questi pezzi di musica densa, martellante, ronzante, frusciante, sintetica eppur melodica, aperta, ariosa, colorata, che riesce a riunire tutte le ultime tendenze di neo-psichedelia, chillwave, kraut-rock, math-rock e post-post-post-punk in un beverone al napalm ad alta digeribilità.
Raccomandati se vi piacciono Liars, Oneida, Battles, Animal Collective ma anche se non avete la più pallida idea di chi siano e semplicemente adorate sentirvi disorientati, sdraiati sul pavimento, in preda a spasmi lisergici.
Finalmente un disco italiano dal sapore internazionale, limpido e fresco come una Gatorade al lampone (quella blu) svuotata in testa.


Questa si chiama "David's Hole" e ci sto in fissa totale

lunedì 23 maggio 2011

Deerhoof - "Offend Maggie"

Quando il math-rock si fonde col ballo del qua qua

2008

Nei cestoni delle offerte dei negozi di dischi non c'è quasi mai nulla di decente: raccolte antologiche di artisti per nulla fondamentali, aborti musicali, compilation di vecchi concerti del primo maggio, versioni chill-out delle musiche dei Beatles, ecc... Eppure ogni volta che vedo uno di questi cestoni mi fermo sempre a frugare, a infilare le mani in quell'inferno rumoroso di pezzi di plastica che sbattono e mi graffiano le braccia, perché ogni tanto capita di trovare qualche chicca che un commesso ignorante ha valutato malamente. Questo disco, ad esempio, lo pagai soltanto 2 (due!) euro ed è forse uno dei più grandi affari che abbia mai fatto (dopo il vinile di "Psychocandy" a 8 euri), anche se non avevo idea di chi fossero i Deerhoof.
Ora lo so e posso dire che quel paio di pleuri questo disco li vale tutti: i Deerhoof vengono da San Francisco, hanno sfornato un quintale di album e la loro cantante, Satomi Matsuzaki, è giapponese. Fanno un rock piuttosto sperimentale, sghembo e nevrotico ma allo stesso tempo di facile assimilazione, decisamente divertente. Tutti i 14 pezzi riescono allo stesso modo a stimolare le sinapsi con le loro inusuali successioni di note senza, però, rinunciare alla sacrosanta "canticchiabilità" grazie alla voce da gattina di Satomi: chiamiamolo pure "experimental-pop", va, tipo una bigbabol al gusto wasabi.
Se lo trovate in un cestone vi consiglio di tentacolarlo senza remore ma anche a prezzi più elevati vale lo stesso il vostro danaro e il vostro tempo.


 

sabato 21 maggio 2011

Lo Stato Sociale - "Welfare Pop"

Pizza, baffi, spaghetti, lasagne, mandolino e Casiotone

2010

Lo Stato Sociale è composto da una mezza dozzina di ragazzi bolognesi che fanno elettropop (ma sì, scriviamolo così all'italiana). Se non li conoscevate ora siete fregati perché i loro piropiropiro elettronici e i loro martellamenti un po' subsonici (specie nella sexyssima "Febbre") vi bucheranno la capoccia come un trapano buca una tavoletta di compensato. I testi sono espressionisti, ambigui, surreali con una patina di impegno sociale che non guasta mai (prendete "La 626", ad esempio, una canzone che parla della legge per la sicurezza sul lavoro che non sfigurerebbe nella compilation Hit Mania Dance) e ve li canticchierete in testa fino a diventare cerebralmente afoni.
 "userò il mio fascino nerd
ma legge Vanity Fair"
 Yeah! 
Questo è il loro primo ep autoprodotto, contiene 6 canzoni ed è quello che mi ha fatto perdere la testa per loro; ma da poco è in circolazione anche quello nuovo di pacca che ha dei bei suonini molto più levigati e la stessa sofficissima poppaggine straripante (si chiama Amore ai tempi dell'Ikea e si può comprare/scaricare dal sito della Garrincha Dischi) e fra un tot è in programma pure un bel LP: fremo.
Ho avuto modo di vederli dal vivo e di conoscerli e devo dire che sono pure cordiali e tajosi oltre che orecchiabili abbestia.
Vedeteli, conosceteli, scaricateli, comprateli, cantateli, amateli, condivideteli, sognateli, alzatevi nel cuore della notte e cambiatevi gli slippini.


venerdì 20 maggio 2011

Datarock - "Datarock Datarock"

Computer sudati

2005

Il termine "funk" nello slang degli afroamericani indica l'odore pungente sprigionato dal corpo umano in stato d'eccitazione. Se non altro un ottimo vocabolo per indicare il tipo di musica più sexy mai creato e non è mica un caso che venga tutt'ora usata per le colonne sonore dei film porno.
Che succede, quindi, se decenni dopo la sua invenzione una musica così animalesca, zozzona e passionale riesce a scavalcare l'oceano per arrivare presso i freddi e illibati fiordi norvegesi? Viene reinterpretata in modo freddo e asettico, ovvio. Ma è solo una questione di forma: al posto del basso slappato e della chitarra titillata abbiamo tastiera e drum-machine. E ascoltando "Sex Me Up" riuscirete comunque a sentirvi sinteticamente arrapati. I Datarock sono due nerdacchioni che si son voluti reinventare come gran cucadores e con i loro pezzi groovosi e succosi riescono spesso a essere credibili anche se la loro nerdagine intrinseca risalta forte in un pezzo spassosissimo come "Computer Camp Love" che fa il verso in chiave sfigata a una certa "Summer Nights".
E adesso tutti a fare la robot dance!

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giovedì 19 maggio 2011

Kylie Minogue - "X"

:Q_______-pop

2007

Non c'è storia: l'estate incombe e d'estate non si è credibili se non si ascolta musica pop. Vi voglio proprio vedere in spiaggia con 50°C all'ombra mentre state ascoltando i Godspeed You! Black Emperor. Siccome che però è in uscita il nuovo album di Lady Gaga che pare una mezza ciofeca e 'nzomma va bene ascoltare il pop anche se si è indie-inside ma quello attualmente in airplay è forse già un po' troppo. Dunque, se vogliamo fare gli alternativi del pop, una buona scelta potrebbe essere quella di buttarsi su questo gradevole decimo (X appunto) album della bella australiana Kylie Minogue. Fra l'altro, credo sia quello che le andò peggio in classifica. Non per colpa sua poveretta: nel 2005 alla Kylie venne diagnosticato un cancro alla mammella perciò dovette scomparire per un po' dalle scene e così la gente ebbe tutto il tempo per scordarsi di lei. Si sa, due anni corrispondono a ere geologiche nella storia della musica radio-friendly. 
Ma ciancio alle bande: 'sto qua è un ottimo disco di pop puro (niente menate sociali o robe impegnative alla Madonna) piuttosto danzereccio, mai eccessivamente patinato e con solo un paio di tracce riempitive. Il pezzo che mi fa sbavare di più è il bel singolo "Wow" ma anche "The One" con quello scoppiettio elettronico petulante, all'epoca in cui passava in radio, mi intrippava parecchio. 
Insomma, fate i seri che non si vive di solo post-psych-dubstep-glitch-hardcore.


martedì 17 maggio 2011

Verme - "Vai verme vai"

"il mondo esplode / e io sto attento a chi dar del lei e a chi del tu"

2010

I Verme mi eccitano. Adoro l'emo. Adoro le prese a bene. I Verme fanno emo preso a bene: happy-emo. Come se non bastasse adorano rimaneggiare copertine del periodo punk e questa è un'altra ficata goduriosa. 
Basta. Dei Verme ha scritto pure mi nonna in cariola. Non starò a dirvi altro. Come, ad esempio, che sono una big-band che raduna membri di altre fighissime band penisulari. Come, ad esempio, che se state pensando "emodimèrda" siete dei cattivoni che non hanno capito un cazzo di cos'è l'emo vero. Come, ad esempio, che cos'è l'emo vero. Come, ad esempio, perché questo è l'ep che mi prende meglio: lo fa e basta.
Dovete filare ad ascoltarli e cominciare a secernere lubrificante naturale.

domenica 15 maggio 2011

Donovan - "A Gift from a Flower to a Garden"


 1967

L’appartamento dove vivo da ieri non ha più né il bagno né l’acqua corrente. Dopo aver attraversato via dei Fori Imperiali a piedi sotto al sole ho passato il pomeriggio a studiare trigonometria con mia zia e ora sto andando a dormire in una brandina nel salotto di mia nonna, senza internet, senza niente in tv, ho dimenticato il libro da leggere a casa, mi sono sbucciata un ginocchio con uno spigolo della brandina, c’è un gatto che mi morde le cuffie dell’Ipod e da quando ho iniziato a scrivere si sono scaricate quattro penne, giuro su dio. Dovevo scrivere degli Sparks, gruppo frocetto anni ‘70, ma direi che ho tutto il diritto di fare un po’ come cazzo mi pare, cioè, non lo so…
[“introduzione alla recensione” di Cecilia Benedetti, edito dalla Buka Corps.]

Donovan, scelgo te! Intanto perché ti conosco bene, così non ho bisogno di Google per eventuali dubbi su qualcosa, poi perché sei troppo forte ed infine perché mi va così.
In pillole: Donovan nasce in Scozia (e dall’accento non si possono avere dubbi, diamine), va a L’ondra a cercare fortuna, inizia come emulatore di Bobbe Dylan (che lo manderà pure affanculo tanto per non contraddirsi mai), ma intorno al 1966 c’è la svolta e diventa uno dei più importanti esponenti dello psychedelic rock di Anglaterra, va in India con i Beatles e gli insegna tutti arpeggi (lui è un genio con la chitarra, o almeno così dicono), si sposa Linda Lawrence, ne adotta il figlio Julian (il vero padre di questo bimbo è Brian Jones dei Rolling Stones…no, ma ci rendiamo conto di che culo? Questo c’ha un padre più fico dell’altro) e ne produce tanti altri, tra i quali Ione Skye, un’attrice che ogni tanto si vede in giro. Agli inizi degli anni ’70 comincia a fare schifo pesantemente e si leva dalle scatole.
Detto ciò, il mio album preferito è “Hurdy Gurdy Man”, ma quello che è considerato il suo capolavoro è "A Gift from a Flower to a Garden" del quale io proverò a parlarvi in breve poiché ho sonno e mi rode un po’ il culo.
“AGFAFTAG” (¿paura?) è effettivamente un capolavoro: due dischi ricoperti da una fattonissima copertina, il primo più sperimentala, il secondo più acustico e secondo me ultrastrafigo della sua semplicità. Donovan si rifà alle fiabe, alle leggende e ai viaggi interstellari acidoidi alogeni narcofloreali e ne esce un lavoro delicato, quasi sussurrato: molto psychedelic e poco rock (triste questa, però è vero, uffa…).
Potrei paragonare le canzoni di questo album ad una cesta di cagnolini: tutte coccolose, tutte amabili, “maaamma non riesco a scegliere!”, anche se io provo un affetto speciale per “The land of doesn’t have to be” nel primo disco e per “The lay of the last tinker” nel secondo. La canzone più celebre dell’album è invece “Wear your love like heaven”, canzone hippie per eccellenza, presente anche in una puntata famosa dei Simpson in cui Homer si fa tutte canne non ricordo perché.
Insomma, consiglierei questo e molti* altri album di Donovan a tutti i miei cari, in particolare nei momenti di odio per il mondo: perché quando lo senti diventi così buono che non riusciresti neanche a scaccolarti.
Oh Gosh.

*The Hurdy Gurdy Man, Sunshine Superman e Barabajagal in particolare.

Josh T. Pearson - "Last of the Country Gentlemen"

L'ultimo dei cantautori depressi

2011

Cominciamo dalla copertina. Esprime un senso di sconsolata e incurabile fragilità: il cantante che si aggrappa alla figura della donna come per non lasciarla fuggire via, un gesto disperato, un bisogno d'affetto estremo senza il quale non si riuscirebbe a vivere. Chiaro che poi delle tette aiutino a vendere un disco, fatto sta che il primo album solista del barbuto texano Josh T. Pearson comincia a mostrare la sua identità già da una foto. Pubblicato 10 anni dopo il suo ultimo lavoro con i Lift To Experience durante i quali Pearson ha avuto modo di fare piccole collaborazioni (anche con Bat for Lashes), farsi spezzare il cuore, deprimersi tremendamente e buttarsi sull'alcool, "The Last of the Country Gentlemen" è una raccolta di 7 lunghissime canzoni, immensamente tristi. Di quell'infelicità così intensa che va somatizzata con pratiche autodistruttive. Pearson afferma che scrivere queste canzoni è stato come andare a confessarsi dal prete: una pratica redimente, sì, ma anche "una delle esperienze più dolorose della mia vita" e che da quando ha finito di registrarle non le ha più riascoltate (perlomeno non su disco dato che va in giro a far concerti). Il miglior pezzo è sicuramente la canzone più triste che sia stata mai scritta, che probabilmente non sarebbe altrettanto triste se non durasse ben 13 minuti dolcissimi e commoventi, mai estenuanti, in cui un violoncello sconsolato duetta con il fingerpicking nervoso, fatto di pieni e vuoti, della sua chitarra che riesce ad avere la stessa estesa espressività di un pianoforte.
Si chiama "Honeymoon Is Great, I Wish You Were Her" (sì, senza la e finale) e credo parli di un uomo che dopo essersi sposato con una donna scopre di essere ancora legato alla donna con cui stava prima, che però è deceduta, dunque confessa con vergogna alla sua sposa "vorrei tu fossi lei".
Non un ascolto facile, tutt'altro: un'esperienza forte, senza tempo, che vi segnerà, vi rimescolerà lo stomaco e vi farà piangere fiumi se sarete disposti ad abbracciarla con lo stesso sincero trasporto dell'artista in quella foto.


sabato 14 maggio 2011

Jamie T - "Panic Prevention"

Nerd-crossover, fra pub e cameretta

2007

Esser spensierati in campagna non è come esser spensierati e felici in città. Nel secondo caso bisogna far i conti con un sacco di brutture, architettoniche o culturali, che ogni secondo ti si possono parare davanti agli occhi. E' una sorta di serenità consapevole che permette di sorridere senza però crearsi strani sogni di un mondo perfetto, profumato e lindo. Jamie T sa bene come funzionano queste cose e a soli 21 anni ci ha scritto un disco di indie-rap sguaiato che ha registrato in gran parte in camera sua, attingendo da cose che gli piacevano come lo ska, il reggae, il post-punk e i Clash di "Guns Of Brixton". Un attitudine do-it-yourself (guardate il video casalingo di "Calm Down Dearest") alla vita metropolitana britannica che immagina storie tragiche ma ci ride goliardicamente sopra, con lo stomaco gorgogliante di birra e i capelli unti di fumo. 
Un disco da ascoltare sia mentre si guarda il soffitto della propria cameretta, ansiosi di scappare, che quando si cammina nei bassifondi, ansiosi di ritrovare un posto più accogliente. Un disco che nel grigiore urbano fa risplendere una lucina: lo sgangherato sorriso beffardo del caro Jamie.


giovedì 12 maggio 2011

...And You Will Know Us by the Trail of Dead - "Source Tags & Codes"

Canzoni da cantare a squarciagola nel Grand Canyon

2002

...e ci riconoscerai dalla scia di cadaveri, ditemi se questo non è uno dei nomi più fichi che una band si sia mai data. Gli AYWKUBTTOD sono texani e "cosa potranno mai suonare con un nome del genere?" vi starete chiedendo. La risposta giusta è "rock", solo rock, inutile stare a cercare altre sfumature. Al massimo c'è qualche venatura progressive o vagamente post-hardcore ma alla fine il succo è il rock, quello epico: gli arrangiamenti sono pomposi, potenti, pieni, ricchi, sontuosi. Magniloquenti, ecco il termine esatto. Ma non sono le guarnizioni a fare le canzoni, si sa, e infatti sono proprio i brani in sé ad essere perfetti: con ritornelli, ponti e ganci che risuonano subito nelle orecchie, come se vi fossero familiari nonostante non li abbiate mai ascoltati prima. Una musica che avrebbe potuto tranquillamente riempire gli stadi di tutto il mondo se non fosse stato per la cazzonaggine del gruppo che dal vivo faticava a ricreare decentemente i propri brani e allora decideva di buttarla in caciara coi membri che si scambiavano di continuo gli strumenti e che alla fine dei concerti distruggevano completamente. Un peccato, invero, perché su disco suonano sempre magnificamente (di recente ne è uscito uno nuovo).
Questo in particolare si beccò il massimo del punteggio su Pitchfork.
Potrà sembrarvi esagerata una tale onorificenza, dopo il primo ascolto distratto. 
Poi quando sarete arrivati al centesimo ascolto e ancora non vi sarete rotti le palle, capirete.


mercoledì 11 maggio 2011

Machine Gun Fellatio - "Bring It On!"

Sesso orale "bellico" fra canguri

2000

Quando hai una band e vivi in Australia, la terra più provinciale della Terra, sai che sarà molto difficile riuscire a sfondare fuori dal continente. Se inoltre fai un genere musicale stramboide sai bene che sarà quasi impossibile. Tanto vale allora azzerare tutte le possibilità e accontentarsi dei confini nazionali scegliendo un nome osceno e divertente.
Machine Gun Fellatio significa più o meno "pompino della velocità di una mitragliatrice a nastro". Ovvio, che con un nome del genere, così evocativo, è difficile riuscire ad apparire sui mass media (all'epoca di questo debutto internet era ancora poco utilizzato come mezzo di auto-promozione musicale). E devo dire che è un peccato perché questo "Bring It On!", al di là dell'orribile copertina, è un disco molto originale: un coacervo di stili (country, rock, dance, funky...) e generi differenti tutti sporcati con elementi elettronici e samples. La cosa che ci arriva più vicino sono quei dementi dei Ween o i magnifici quanto semi-dimenticati Bran Van 3000.
Non è un disco bello in sé ma affascinante per la sua stranezza e sicuramente un ascolto lo merita (specialmente due bei pezzi come "Summer" o "Drugsex"). 
E poi volete mettere la possibilità di dire hai vostri amici "Ehi, chi vuole ascoltare i MitraPompino?"

lunedì 9 maggio 2011

The Party Favors - "The Last Slice of Cake"

Brit-indiepop-tronic-postholidays-hormonal

2010

Dopo i Fast Animals and Slow Kids, Perugia strikes again on Sfigatindie. Rilasciato il 25 Dicembre questo album autoprodotto fu un grandissimo regalo di Natale: colorato e gustoso come le Smarties, come la sua copertina. Si tratta di elettropop carino un po' malinconico e un po' allegro che ricorda vagamente i Notwist (ma non così malinconico), i Postal Service e i My Awesome Mixtape. Ci sono un po' di tastiere giocattolo, un po' di chitarrine lievi, teneri testi in inglese cantati con una pronuncia accettabilissima e persino un inserto rap nell'ultima canzone.
Un debutto buono dall'inizio alla fine e mai noioso da una band italiana solo raramente mi capita di ascoltarlo.
Carino, grazioso, delicato, puccioso e al gusto marshmallow. E pure gratis.

Downloadalo subito dal loro Bandcamp e trovali su Facebook

P.S.: Ringrazio molto tutti i lettori di SfigatIndie! Questo post ha fatto registrare un nuovo record di visite del blog. In particolare ringrazio gli stessi Party Favors che mi hanno linkato dappertutto. Yeah!

domenica 8 maggio 2011

Treeberrys - "Talkin' About..."

J-beat

1999

I giapponesi sono bravi ad emulare la cultura occidentale: tutto il contrario dei cinesi che sono, sì, veloci nel copiare l'ultima novità, ma lo fanno in modo dozzinale e con plastiche di scarsa qualità, possibilmente infiammabili. Ecco i Treeberrys riescono a ricreare perfettamente l'anima delle prime canzoni dei Beatles: quelle beat, quelle ye-ye, quelle sciocchine, quelle sulle fanciulle graziose cui cantare le serenate sotto la finestra. Complice della buona riuscita di questo albumino carino e divertente (anche per la pronuncia un po' engrish), una cura del suono abbastanza vintage: è registrato in mono, pensatempò, che significa che dalla cuffia (o cassa) destra e da quella sinistra esce la stessa cosa, il che significa a sua volta che potrete rimorchiare sull'autobus, mentre andate a scuola, la vostra compagna di classe tanto caruccia offrendole una vostra cuffietta senza per questo perdere l'interezza del suono...ehm...

(si ringrazia ancora quella ficata di Radio Molotov)

 

Fico questo mini-player, eh? La canzone si chiama Bad Times Roll

sabato 7 maggio 2011

Fast Animals and Slow Kids - "Questo è un cioccolatino"

Un gruppo di stronzi col pepe al culo e il tantum rosa nello stomaco

2010

Citano i Griffin, sono dei perugini cretini schizofrenici, hanno vinto l'Italia Wave e dal vivo fanno il cervello a poltiglia: li ho visti ieri e in confronto questo ep da sentire in cameretta è una merda. Ok, non è vero sono 4 pezzi veloci di psicotipunk veloce, esagitato e guarnito con un tot di stop&go un po' post mentre i testi (in italiano, diocamion! In italiano!) sono ricercatamente insensati e parlano di quanto sia stupido l'amore e di quanto il mangiare o il meteo siano argomenti una cifra mejo. Sparateveli in vena, nella chiappa sinistra, aspettate l'album prodotto da Appino dei Zen Circus e andate a pogarli mentre il cantante vi stagediva addosso con tanto di espressioni facciali spastiche.

(si ringrazia abbestia The Breakfast Jumpers)

venerdì 6 maggio 2011

Novos Baianos - "Acabou Chorare"

Ai ai! Saudade, não venha me matar!
 
1972

Il miglior album brasiliano secondo la rivista Rolling Stone (edizione brasiliana, ovviamente). Non sono abbastanza informato per contraddirlo e sicuramente non ne vale nemmeno la pena in quanto questo è un disco favoloso di canzoni acustiche per chitarra e percussioni, con qualche chitarra elettrica ogni tanto a dare un tocco di energia. Non ho mai sentito sei corde suonare in modo così limpido: una limpidezza che solo da un paese pieno di colori come il Brasile poteva arrivare tanto che persino le canzoni più saudadose riescono a rallegrare. E le voci, ah le voci, una femminile e una maschile: scivolose, liquide e fresche. Tutte le volte che le ascolto la mia testa evoca tutti gli stereotipi possibili: gli edifici colorati di Bahia, le maracas (che son pure originarie dell'america centrale), il carnevale, i cappelli di frutta di Carmen Miranda, i bambini che giocano con una palla fatta di stracci e i tramonti sulle spiagge bianchissime.
Per sentire il sole del sudamerica sulla pelle per 40 minuti senza doversi fare 10 ore di volo.


P.S.: questa è la copertina dell'edizione originale del disco che però non ne rende bene la luminosità

mercoledì 4 maggio 2011

Vitalic - "Flashmob"

Diobono come pompa il Vitalic!

2009

Dopo tanta musica lagnosa e intimista è tempo di lasciarsi andare, tempo di svuotare la mente, tempo di rassodare il culo al ritmo di bassi potenti che colpiscono forte in pancia. Così forte da farti cagare addosso.
"Flashmob" di Vitalic (nome d'arte del dj francese Pascal Arbez) è ciò che di meglio ha partorito la musica cafonamente danzereccia negli ultimi 10 anni. Una musica che pompa duro e lascia spazio solo alle emozioni grezze e a una voglia matta di muoversi spasticamente come ossessi. Le composizioni pluristratificate di Vitalic ronzano, tremano, vibrano, erodono e sconquassano il sistema nervoso ma senza mai tirarla per le lunghe (anche se sarebbe godurioso, ma per quello basta premere il tasto repeat) di modo che risulti piacevole ascoltarle anche in cuffia, mentre fai la spesa al supermercato: poco importa se le vecchiette vi vedranno tamburellare sul fustino del Dash in preda a spasmi di natura ancestrale, come scimmie cianotiche strafatte di amfetamine.
Fatevi rapire e stuprare da questo disco. E, sindromedistoccolmamente, amatelo alla follia.


P.S.: per avere un'idea di come suona tutto l'album consiglio assai il bel minimix d'anteprima che l'artista pubblicò poco prima dell'uscita dell'album

martedì 3 maggio 2011

Perturbazione - "In circolo"

Filastrocche di gesso per quotidiane fratture cardiache

 2002

I Perturbazione vengono da Rivoli, hanno più di 20 anni di carriera sulle spalle e sono placidamente ignorati da gran parte degli italiani. Ma va bene così: per riuscire ad apprezzarli bisogna avere il cuore naturalmente conformato per accogliere le loro preziose melodie pop che si inoculano nel sangue come un virus. Le loro canzoni parlano di tutte quelle piccole cose di tutti i giorni che, senza fare rumore, senza sollevare un polverone, provocano lo stesso un soffio al cuore che ammutolisce e chiude lo stomaco. Cose belle e cose meno belle: amori divisi fra "carpe diem" e responsabilità, il futuro in coppia, estati che non riescono a scaldare il gelo che sentiamo dentro, il sentirsi soli (ben diverso dall'essere soli fisicamente), volti che si allontanano e la frustrazione di voler rivoluzionarsi quando non si capisce il senso della vita (anzi della vite).
Caramelle agrodolci da sciogliere lentamente sulla lingua quando il vostro mondo ruota in senso orario: se vi piacciono non potrete più farne a meno.

(si ringrazia Il golpe e l'uva)

lunedì 2 maggio 2011

Peter Broderick - "How They Are"

Bellezza stordente-struggente

2010

Dopo solo due canzoni di "How They Are" del giovanissimo Peter Broderick (classe 1987) devo premere stop sul mio lettore. Sembrerà stupido da dire ma questo disco è decisamente eccessivamente bello. Del tipo che già con i primi due intensissimi brani uno si ritrova appagato, confuso e inebetito da una bellezza limpida, cristallina, senza filtri: un diamante musicale. Il primo brano, "Sideline", è un assalto al cuore che comincia soltanto con la voce, calda e avvolgente, e poi viene abbellito con isolate coloriture pianistiche che portano alla coda strumentale. Il secondo, "Human Eyeballs on Toast", fa svenire definitivamente con un giro ostinato di poche semplici e pure note di piano che creano un senso di elevazione verso l'infinito. A questo punto, mi riesce sempre difficile continuare perché so che quello che viene dopo è altrettanto bello se non di più: l'ascolto continuato può far vedere cose divine che il nostro corpo mortale non è in grado di capire. Eppure, tutta questa magnificenza è frutto di un minimalismo integralista; infatti, per Broderick vale davvero la regola "less is more": nei suoi brani non c'è mai nulla di più oltre la sua voce, il piano e qualche volta una scarna chitarra.
La musica di Peter Broderick è densa di una tristezza profonda, talmente dilagante e potente da scuoterci e farci sentire, infine, gioiosamente vivi.


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