lunedì 14 novembre 2011

N.W.A - "Straight Outta Compton"

"Life ain't nuthin' but bitches n' money"

1988

Semmai dovessi fare - dopo quella dedicata al metal - una nuova rubrica chiamata "Introduzione Sfigata al Gangsta Rap" probabilmente comincerei e finirei qui.
La gang che formò gente come Dr.Dre (colui che ha scoperto Snoop Dogg ed Eminem se siete supernovizi) e Ice Cube fu, infatti, la più influente di tutte. Quella che, assieme ai Public Enemy (sulla costa opposta), ha dato l'impronta a tutto l'hip-hop successivo, non necessariamente "gangsta". Prima dei Niggaz With Attitude (N.W.A appunto) l'hip-hop era confinato in ambiti più cazzoni e spensierati: il rap di pionieri come Sugarhill Gang, Run-D.M.C. e LL Cool J era, sì, un modo per sfuggire dalla grigia realtà delle strade colorando un immaginario fatto di ritmi ballabili e vestiti sgargianti ma anche, ed essenzialmente, materiale da festa.
Con loro il rap scese nel lercio dei sobborghi di Los Angeles ("direttamente da Compton" appunto) e cominciò a narrare le storie della vita di strada delle numerose piccole bande che popolavano la città californiana: nacque la "street cred" (credibility), ovvero il livello di rispetto che un tale membro della comunità nera poteva guadagnarsi compiendo certe azioni più o meno criminali. Il linguaggio di "Straight Outta Compton" è slangato, violento ("Gangsta Gangsta"), rancoroso ("Fuck Tha Police") e vagamente misogino (anche se pezzi come "I Ain't Tha 1" fanno abbastanza ridere e descrivono comunque una realtà sociale). Tutta questa esaltazione della vita urbana odorosa di piombo fuso può non piacere ma questo disco resta un'importante testimonianza di come discriminazioni, disuguaglianza sociale, autorevolezza basata sulla ricchezza e sul potere, segregazione e libera vendita delle armi da fuoco possa creare uno scenario paradossale in cui essere dei delinquenti può essere considerato un modo fico di "esprimere se stessi".
I N.W.A dunque narrano della realtà in cui vivono, anche se probabilmente non in prima persona perché chi veramente faceva quella vita di strada di norma non perdeva certo tempo a scriverci sopra canzoni. E lo fanno con un disco divertentissimo, ritmatissimo e ultrafunkadelico che non può mancare nella collezione di chiunque voglia cominciare a immergersi nel mondo tanto distante quanto affascinante dell'hip-hop. Prendetelo come una lezione di antropologia, tenuta sopra una Chevrolet Impala cromata con le sospensioni idrauliche. Respect!

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2 commenti:

  1. Mamma mia, salto indietro nel tempo fra scuola e Mivar sintonizzati su reti private (MTVche?), dove si vedevano questi video dei "neri con le pistole", fra un incontro di wrestling e un anime.
    Conosciamo l'evoluzione in Italia...
    Sono supernovizio, nonostante possa essermi fregiato di visioni anticipate. E meno male, una cultura del genere non la condivido manco per il piffero, anzi, la osteggio con forza.

    Mi piace com'è impostato questo blog, si legge d'un fiato ma insegna, complimenti! Continuerò a seguire!

    Luigi

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  2. Yuk, il televisore Mivar lo aveva mia nonna: che cacchio di telecomandi scomodo aveva! Sulla suddetta cultura ci tenevo comunque a ricordare che era il prodotto di una certa società e non era nata dal nulla. Fichissimo il tuo blog, non lo conoscevo: rimedierò, anche perché i film strani mi piacciono assai. Grazie per i complimenti :) Buon lavoro anche a te!

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