mercoledì 22 febbraio 2012

Afterhours - "I milanesi ammazzano il sabato"

Aò, a me me piaceno e 'sto disco pure

2008

Prima che passassero di moda, prima della gloria de Il teatro degli orrori, gli Afterhours erano il grande centro d'attrazione degli sparamerda di professione in Italia, di quei noiosi tizi che amano schifare di brutto tutta la musica italiana, semplicemente in quanto italiana. La verità è che a questa gente la musica non piace, in quanto incapace di chiudere la bocca per criticare e ascoltare, incapace di lasciarsi trascinare dal flusso di note svuotando la mente dai pensieri pregiudizialmente critici. Ma un'altra inoppugnabile verità è che questi "eroi" della scena alternativa, spesso deliberatamente antipatici e pretenziosi, non hanno mai fatto veramente molto per apparire umili e cordiali.
Così quando pubblicarono quello che, a oggi, è il loro ultimo album alle critiche iniziali si aggiunsero, in una gran confusione, quelle dei vecchi fan delusi. Quelli che, a modo loro, della musica gli fregava lo stesso molto poco ma erano attratti dall'aspetto cupamente burbero di quel ficone neo-goth maledetto di Manuel Agnelli.
Perché "I milanesi ammazzano il sabato" (titolo tratto da un romanzo noir) è in effetti l'album più leggero della discografia della band meneghina: nonché quello che trovo più godibile e, forse, quello che preferisco. Innanzitutto, è molto vario: ci sono i soliti pezzi hard un po' stoner/grunge, belle canzoni di grande e arioso pop-rock, vaghi cenni pissichedelici (vedi video), drum-machine, ottoni, danze macabre, tenere ninne-nanne e simpatici divertissement abbastanza insoliti (una canzone sul mago Silvan?). Comparato ai precedenti, secondo me, è tutto un'altra storia: "Germi" è rock scorticante a tratti eccitante ma spesso indigesto (alcuni brani son palesemente tappabuchi: e comunque dura troppo), "Hai paura del buio?" è un capolavoro ma ad ascoltarlo a ruota o tutto d'un fiato non ci penso proprio, "Non è per sempre" introduce momenti soft ma comunque è un mattonazzo di 54 minuti, "Quello che non c'è" è sempre un po' oscuro ma ha dei bellissimi passaggi e finalmente una durata umana, "Ballate per piccole iene" ha come sottotitolo "musiche per un suicidio di massa fra adolescenti". Questo, invece, è quasi come bere un bicchier d'acqua. Ovvio che la perdita di quel maledettismo esasperato che aleggiava attorno alle loro precedenti canzoni abbia lasciato senza un punto di riferimento i vecchi fan più disadattati e depressi. Però cioè anche un po' sticazzi: Manuel Agnelli è un musicista mica uno psicologo e questo è un ottimo disco, anche se non proprio coesissimo, che è stato fin troppo sottovalutato. Una raccolta di canzoni solari dedicate alla vita: ovvero alla figlia di Agnelli, Emma, che anche i presunti profeti generazionali ogni tanto crescono.
Certo, "solari" sempre in quella maniera un po' dark-eccentrica
"Musa un po' puttana, madre della mia bambina"
Vabè, è più forte di lui...


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