giovedì 31 marzo 2011

Kings of Leon - "Because Of The Times"

I listened to Kings of Leon before they got mainstream

2007
  
Ho sempre creduto fosse una puttanata quel ritornello indie che afferma che quando una band comincia a diventare famosa la musica ne risente di brutto. In fondo è pieno di band che fanno eccezione a questa stupida regola. Poi conobbi i Kings of Leon. Americani al 100%, campagnoli del Tennessee, tre fratelli e un cugino, figli di un pastore pentecostale, barbuti, rozzi e fuorimoda: mi piacquero da subito col loro indie-blues e southern rock sanguigno e ruvido che narrava storie di perdizione sulle highways. Erano una band figa, consapevole di essere figa, con un solo problema: piacevano un sacco ai britannici (a me li fece conoscere un tipo scozzese) e se piaci ai britannici sei figo, ma non riuscivano a sfondare in patria. In un loro pezzo contenuto in questo album ("Fans") lo dicono pure chiaramente:
"All of London sing
Because England swings and they sure love the tales I bring"
Per quanto diretti, veri e genuini i Kings of Leon erano troppo diretti, veri e genuini per poter entrare nelle tv e nelle radio americane. Ecco dunque come nell'arco di un anno sono passati dall'essere dei bifolchi indie all'essere delle pop-fichette che piacciono alle ragazzine urlanti (non che sia un male, ma qui non si parla più di musica). Contenti loro: noi un po' meno dato che il loro quarto album "Only by the Night" (vincitore di un Grammy, se non sbaglio) è una moscia raccolta di brani pop-rock da stadio patinati, iperprodotti, sovra-arrangiati, smaltati e senz'anima (il quinto album migliorerà un po' le cose ma sempre di pop si parla).
Questo terzo album è l'ultimo fuori dal mainstream e anche il più bello. Ci sono potenti riff di chitarra che intessono melodie ora galvanizzanti ora delicate, linee di basso saltellanti, coretti quasi gospel, storie di gnocche e di Gesù. Ma ciò che davvero fa perdere la testa per questa band è la straordinaria voce di Caleb Followill che canta con una patata in bocca, con un accento burino e con una raucedine abrasiva che a volte si distende e scioglie come una caramella mou quando le cose si fanno più melodiche.
Un disco bello e vario che coinvolge al primo ascolto di una band che ha oramai perso la via del Signore per inseguire quella del Diodenaro.
SfigatIndie vuole ricordarli così, come piacevano a noi.

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