lunedì 4 aprile 2011

Bloc Party - "Silent Alarm"

A British way to Emo

 2005

Comprai quest'album perché vidi il video di "Banquet" su quel canale alternativo di MTV, mi pare si chiamasse YOS all'epoca poi cambiò nome in FLUX se non sbaglio. Comprai quest'album ma inizialmente non mi fece provare nulla di particolare: bello sì, ma non mi coinvolgeva, non si adattava alla mia situazione, era come un vestito troppo largo. In effetti, poi vidi un'intervista in cui Kele Okereke, il cantante nero con la voce più bianca d'Inghilterra, affermava che la loro musica voleva descrivere cosa significasse avere vent'anni in quegli anni. Bè io ne avevo 16 in quegli anni, che ne potevo capire? Fatto sta che poi me ne andai a Barcellona in viaggio scolastico e, wow, "Silent Alarm" si adattava perfettamente a quella città così ariosa e candida (come questa copertina). Fu come se una molla fosse scattata in me: mi innamorai del disco e ora, ogni volta che l'ascolto mi torna in mente la città catalana, vai a capire perché.
I Bloc Party sono ora ufficialmente in pausa e sono una delle prime vittime della memoria alzheimerica degli anni '00: già molti vecchi fan indie-fichetti che anni fa li acclamavano oggi non se li cagano più. Mica perché facessero schifo, anzi; ma perché con tutti i nuovi impulsi e le "next big thing" quotidiane sono stati semplicemente eclissati dal nuovo che avanzava.
In questi anni hanno, infatti, sfornato una quantità notevole di belle canzoni ma nessuna è entrata veramente nella memoria collettiva perché la verità è che queste non sono canzoni "epiche", sebbene il suono potente sembra dire il contrario. Dense di chitarre taglienti che si affastellano e di ritmiche tonanti che colpiscono allo stomaco, le loro canzoni sono come un getto d'aria compressa sparato negli occhi eppure sono intime, fragili e viscerali specialmente grazie alla voce "fondente" di Okereke. Ecco, a vent'anni, ho finalmente capito che i Bloc Party sono Emo (emo vero, quello degli anni '90, quello del sacro fuoco delle passioni depresse. Certo il chitarrista, a dire il vero, pare proprio un vero-finto-emo-poser), anche se in un modo tipicamente albionesco, disilluso, freddo, con echi di new-wave e lontano dalla zuccherosità americana. Parafrasando un loro brano (non presente in questo disco), i Bloc Party esprimono "a private kind of happiness", una serena inquietudine. Tant'è che ho avuto la fortuna di vederli dal vivo ad un grande festival ma la loro musica in quel contesto risultava snaturata e tutto si è risolto in uno stupido pogo inspiegabilmente violento.
Musica per animi senssibbili che, solo ora che gli hipster più aridi non se la cagano più, comincia a svelarsi come un fiume di emozioni molto powa. Fatevi annegare.


P.S.: Purtroppo non sono riuscito a trovare in download l'edizione limitata che contiene quella ficata di pezzo di "Two More Years"
P.P.S.: [update] questo post può ora vantare di aver accolto il millesimo cliente di SfigatIndie. Grazie, chiunque tu sia. E grazie anche e soprattutto a coloro che in questi 26 giorni di vita del blog hanno permesso tutto questo visitando e apprezzando :D. Stay tonned!

2 commenti:

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