mercoledì 6 aprile 2011

Kele - "The Boxer"

Un dancefloor bagnato di lacrime

2010

Com'è ironico: due giorni fa scrivevo col cuore in mano di quanto fossero belli i Bloc Party e di come cominciassi a comprenderli solo ora, quand'erano ormai spariti dalle scene, splittandosi.
Ma proprio oggi non arriva l'annuncio del loro ritorno, della loro reunion, della fine del loro iato?
Avevo, effettivamente, intenzione di tornare a parlare della band inglese, dato che mi sta particolarmente a cuore: non immaginavo sarebbe successo così presto. Son contento, comunque.
Ebbene, parliamo allora di quello che è accaduto in questi 17 mesi di pausa:
-Gordon Moakes, il bassista acqua e sapone, ha formato con un altro tipo i Young Legionnaire, band post-hardcore;
-Matt Tong, il batterista asiatico, s'è fatto le seghe, pare;
-Russel Lissack, il chitarrista col frangettone, ha fatto uscire il primo album con la sua altra band, i Pin Me Down, che fanno indie-pop-rock, con una gnoccona alla voce;
-Kele Okereke, il ganzissimo cantante di colore gay (cioè è di colore e gay, non è di uno strano colore omosessuale chiamato, appunto, "gay"), s'è dato anema e core alla musica elettronica e ha fatto uscire questo "The Boxer".
Che gli piacesse danzare al tipo non era certo un mistero dopo le collaborazioni con i Chemical Brothers e Tiësto e dopo quella mezza delusione del terzo album del suo gruppo, "Intimacy", i cui suoni erano palesemente electro-clash.
Questo disco non è stato particolarmente amato dalla critica, tuttavia, secondo me è solo differente dai Bloc Party, tutto qui. Anzi, ora che ci penso si potrebbe dire che in gran parte questo è un disco dei Bloc Party senza chitarre e con suoni elettronici (fra l'altro prodotti da un genietto mica da poco, tale Hudson Mohawke) di derivazione "tardi-anni-'90". Ciò che più stupisce è il modo in cui, al di là della freddezza del sottofondo sonoro, la voce di Kele riesce a riscaldare il tutto e a colorare di dense emozioni brani che, in teoria, sarebbero buoni solo per bruciare grasso sulle chiappe. Prendiamo ad esempio il fantastico singolo "Everything You Wanted": parla di rimpianti per una relazione finita.
"Avrei potuto darti tutto ciò che volevi, tutto ciò di cui avevi bisogno" canta il tipo mentre tu intanto balli sodo. Solo che il ritornello poi si fa sempre più insistente e intenso che a un certo punto cominci a sentire una stretta allo stomaco, avverti un'atmosfera opprimente e ti viene quasi istintivo fermarti per rispettare la sua sofferenza. Insomma, con questo disco niente male (nemmeno un capolavoro) il cantante del gruppo che ha creato il brit-emo (il termine l'ho coniato io, chiaro) se n'è uscito fuori pure con l'emo-electro (non si può sentire, concordo).
Ballate e commuovetevi.


P.S.: no comment sulla maglietta e il cappellino del tizio nel video

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